Cristianesimo in Azerbaijan: quando riscrivere la Storia cancella la memoria di un popolo


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di Bruno Scapini

Nulla da eccepire sull’iniziativa intrapresa dalla Pontificia Università Gregoriana di ospitare recentemente una conferenza sul tema del Cristianesimo in Azerbaijan, se il fine fosse stato quello di presentare un’analisi storicamente imparziale e obiettiva del fenomeno religioso in un Paese islamico.

Purtroppo, così non è stato. L’evento – promosso, organizzato e finanziato da istituzioni azere, tra cui il Ministero degli Affari Esteri di Baku – ha smascherato nei contenuti la sua vera, deplorevole finalità: riscrivere la Storia per cancellare la memoria. E naturalmente si tratta della memoria del popolo armeno!

Ancora una volta Baku ha dimostrato la propria disonestà intellettuale, presentando artificiosamente – attraverso tematiche ingegnosamente costruite e interpretate da un panel di relatori accuratamente selezionati (peraltro intervenuti a voce unica, senza alcuna possibilità di contraddittorio, e univocamente convergenti verso la visione storica voluta dai circoli politici azeri) – un quadro della presenza cristiana non solo completamente artefatto, ma anche piegato a meschini interessi ideologici di parte.

Chiaro il tentativo di screditare le origini armene del Cristianesimo nel Caucaso meridionale! Non basta l’opera demolitrice perseguita da Baku con costante determinazione sulle testimonianze religiose e culturali armene. Eloquente è, infatti, quanto accaduto ieri nella regione del Nakhchivan con l’annientamento fisico di monumenti cristiani, e quanto accade oggi in Artsakh (Nagorno Karabakh), dopo l’esodo forzato di migliaia di armeni a seguito dell’ultima sfortunata guerra del 2020.

Oggi si tenta pure la strada della manipolazione storica per cancellare quel che resta, nei territori occupati dall’Azerbaijan, della memoria storica armena: si fa risalire la presenza cristiana a una non meglio identificabile comunità “albanese” di antiche origini, sottrattasi al processo di islamizzazione dell’area. Trattasi di un gruppo etnico minoritario (gli Udi), peraltro storicamente insediatosi al di fuori dei tradizionali confini armeni, ma pretestuosamente avocato oggi dalla Baku ufficiale quale elemento clanico cui far risalire le presenze monumentali armene in disprezzo perfino delle loro storiche iscrizioni in lingua armena!

Ecco spiegato, allora, come questa irrituale esaltazione di una provenienza “albanese” del Cristianesimo caucasico assuma un’evidente pretestuosità agli occhi di chi guarda alla Storia con animo spassionato e imparziale. L’intendimento della dirigenza azera, oggi – dopo la forzata annessione del Nagorno Karabakh, derivante dagli esiti nefasti di una guerra quanto mai opinabile nelle sue effettive modalità di conduzione da entrambe le parti – è quello di rimuovere qualsiasi traccia o segno di una Storia della Nazione armena. Perché proprio quella Storia potrebbe ancora parlare di sé per rivendicare l’esigenza di una giustizia storica purtroppo ignorata da un Occidente indolente e prono, con ogni mezzo, a dissacrare, mercificandoli, i valori fondanti della sua stessa civiltà.

Colpire il Cristianesimo armeno potrebbe rivelarsi un colpo magistrale assestato da Baku all’identità storico-religiosa degli armeni: rimuoverlo dal profondo della loro coscienza collettiva equivarrebbe a infliggere all’Armenia una sconfitta forse ancor più grave di quella militare. Perché privare un popolo della sua memoria significa radiarlo per sempre dalla Storia.

Non limitiamoci, dunque, alla rassegnazione! È deleteria. Non confiniamoci a deplorare la furia devastatrice dell’odio razziale! È pericoloso. Già in passato crimini detestabili, come le uccisioni di civili innocenti nella breve guerra dell’aprile 2016, o l’omicidio a Budapest nel 2004 del sottufficiale armeno Margaryan per mano dell’azero Safarov, sono rimasti impuniti nella delirante soddisfazione della parte azera.

Prendiamo invece coraggio e denunciamo questi misfatti affinché giustizia sia fatta; reagiamo ai soprusi e alle sopraffazioni affinché chi si presta a simili giochi mistificatori si ravveda e renda giustizia a un popolo che non ha idrocarburi né caviale da offrire in cambio di rispetto, ma solo e unicamente la ferma fedeltà alle comuni origini cristiane del nostro Occidente!

 

 

Foto: La cattedrale di Ghazanchetsots a Shushi in una foto del 2020. Oggi molti simboli religiosi sono stati rimossi dalla chiesa, inclusi gli angeli sul portale dell’edificio, le cupole e la croce (Ansa)

 

 


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