Una fumata di speranza in un mondo armato


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(Federica Cannas) – La fumata bianca ha annunciato al mondo intero che il nuovo Papa, Leone XIV. Un nome che richiama la storia e la tradizione, scelto da Robert Francis Prevost, primo pontefice nordamericano, con un passato di missione tra i poveri e un presente di parole profonde e inclusive. Ma mentre dalla loggia di San Pietro si levava un invito alla fratellanza e al dialogo, troppe capitali del mondo restavano sorde. Intrappolate in un linguaggio da Guerra Fredda, in un mondo in cui il potere pesa ancora più della pace.

Gli auguri dei capi di Stato sono arrivati puntuali, misurati, rispettosi. Eppure, suonano spesso come una formalità. Perché a parole tutti invocano la pace, ma nei fatti abitano stabilmente la guerra, la finanziano, la giustificano, la rendono sistema. Il mondo sta vivendo più che mai un’epoca stitica di pace – come se la pace fosse diventata un lusso, un ricordo, una distrazione fastidiosa tra un summit militare e l’altro. E allora, sì, abbiamo un Papa che chiama all’ascolto, alla comprensione, alla costruzione quotidiana di ponti. Ma abbiamo ancora capi di Stato capaci di ascoltare davvero?

È facile criticare chi non si allinea alla narrazione dominante. In queste ore, molti si sono affrettati a criticare i leader sudamericani, da Lula a Gabriel Boric, per la loro partecipazione alle celebrazioni del 9 maggio a Mosca, per commemorare la vittoria sulla barbarie nazifascista. Ma chi li critica si ferma alla superficie. Non coglie che la loro presenza in Russia, oggi, rappresenta una sfida simbolica e potente. Una presa di posizione che prova a restituire dignità alla diplomazia multilaterale, alla memoria storica condivisa, alla possibilità di dire “pace” anche dove tutti vedono solo conflitto.

Boric, Lula e gli altri sono lì per ricordare che l’antifascismo e la ricerca di un mondo multipolare sono valori fondanti della loro visione del mondo. Sono lì per riaffermare che non esiste una sola voce legittima a parlare di democrazia e diritti umani. Che la pace si costruisce anche tendendo mani, non solo alzando muri. Chi li critica, forse ha dimenticato che la diplomazia, quella vera, ha bisogno di coraggio, non di automatismi.

Papa Leone XIV inizia il suo pontificato con parole limpide, colme di speranza e responsabilità. Ma senza una politica internazionale altrettanto coraggiosa, il suo appello rischia di rimanere confinato alla sfera spirituale. Il mondo ha bisogno di capi di Stato che smettano di parlare come generali e ricomincino a pensare come esseri umani. Che abbiano il coraggio di affrontare la complessità, di rompere le logiche binarie, di affermare che la pace non è mai una resa, ma una costruzione. E che si può fare politica anche sedendosi allo stesso tavolo, persino con chi non la pensa come te.

Auguri, dunque, Papa Leone XIV. Ma auguri anche a chi, nella politica, saprà essere rivoluzionario nel senso più autentico: quello della pace. Perché oggi, più che mai, abbiamo bisogno di parole che accendano la speranza. Ma ancor di più, abbiamo bisogno di gesti che la rendano reale.


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