
(Federica Cannas) – Ci sono immagini che restano scolpite nella memoria collettiva. Camila Vallejo, giovane studentessa, megafono in mano, in testa a cortei oceanici di giovani che attraversano Santiago come un fiume in piena. Era il 2011, e il Cile, patria delle disuguaglianze, scopriva di avere una nuova voce. Giovane, potente. Una voce che non chiedeva solo istruzione gratuita, ma giustizia, dignità, futuro. E che, per la prima volta dopo decenni, riusciva a far tremare i palazzi del potere.
Camila Vallejo Dowling aveva appena 23 anni quando divenne il simbolo di un movimento studentesco che, partito dalle università, si allargò fino a coinvolgere intere fasce della società cilena. Figlia di militanti comunisti, cresciuta all’ombra del pensiero critico e della memoria del golpe, era già una militante della Juventud Comunista, ma fu il suo ruolo di presidentessa della FECH, la Federazione degli studenti dell’Università del Cile, a lanciarla sulla scena pubblica.
Quel 2011 fu un anno di rivolta in tutto il mondo. Dalle primavere arabe agli indignados spagnoli, da Occupy Wall Street alla protesta contro l’austerity in Europa. In Cile, il detonatore fu il sistema educativo, ereditato direttamente dall’era Pinochet. Privatizzato, escludente, inaccessibile per le classi popolari. Le studentesse e gli studenti, con coraggio e determinazione, iniziarono un movimento senza precedenti, chiedendo la fine del lucro nell’istruzione e un modello pubblico, universale e gratuito. Camila ne divenne la portavoce più nota, accolta con entusiasmo nelle piazze e con diffidenza nei salotti del potere.
Non era solo la chiarezza delle sue idee a colpire, ma il suo stile. Diretto ma non demagogico, fermo ma mai aggressivo. Parlava di uguaglianza, redistribuzione, sovranità popolare. E lo faceva con una dolcezza che spiazzava gli avversari, tanto da diventare bersaglio di feroci campagne mediatiche, sessiste e denigratorie. Il sistema, incapace di fermarla sul piano politico, cercava di ridurla a un’immagine, a un’icona priva di sostanza. Ma lei resisteva. E rilanciava.
La grande mobilitazione studentesca del 2011 non portò, nell’immediato, ai risultati sperati. Le richieste erano chiare: istruzione gratuita, pubblica e di qualità, una rottura netta con il modello neoliberista ereditato dalla dittatura. Ma il governo dell’epoca, guidato da Sebastián Piñera, rimase sordo agli appelli e rispose più con la repressione che con l’ascolto. Tuttavia, quella stagione di lotta non fu vana. Al contrario, segnò una frattura nella storia recente del Cile e mise in moto un cambiamento profondo. Da quel movimento sono emersi nuovi protagonisti della scena politica, tra cui Camila Vallejo, Giorgio Jackson e Gabriel Boric, che dieci anni dopo sarebbe diventato presidente. Il 2011 ha rappresentato l’inizio di un processo culturale e politico che avrebbe portato il Paese a interrogarsi sul proprio modello sociale, aprendo la strada a nuove battaglie, nuove rivendicazioni, nuove speranze.
Nel 2014, a soli 26 anni, Camila Vallejo varcò la soglia del Congresso cileno come deputata. Era il segno concreto di un passaggio epocale. La voce che aveva incendiato le piazze ora entrava nelle istituzioni, non per abbandonare la protesta, ma per darle nuova forma. Le bandiere, gli slogan, le assemblee studentesche lasciavano spazio ai microfoni del Parlamento, ma lo spirito rimaneva lo stesso: dare rappresentanza politica a chi, per troppo tempo, non ne aveva avuto.
Nel 2022 è entrata a far parte del primo governo di Gabriel Boric con il ruolo di ministra della Segreteria generale, diventando la voce ufficiale dell’esecutivo. Un incarico delicato, che ha affrontato con la stessa fermezza e chiarezza che l’avevano resa celebre nelle piazze. Oggi, mentre si trova in congedo per maternità — sostituita temporaneamente dalla ministra della Scienza, Aisén Etcheverry — continua a rappresentare un punto di riferimento per quella sinistra che non ha mai smesso di credere nella possibilità di trasformare il Paese con intelligenza, coraggio e visione.
Oggi, a distanza di più di dieci anni dalle rivolte del 2011, il Cile è cambiato, ma resta attraversato da contraddizioni profonde. Camila Vallejo, con la sua voce ferma e appassionata, continua a essere una delle figure più significative di quel cambiamento incompiuto. Perché, come diceva Salvador Allende, “essere giovani e non essere rivoluzionari è una contraddizione perfino biologica”. E lei, a quella rivoluzione, non ha mai smesso di crederci.