
(Federica Cannas) – La crisi della destra neoliberale argentina ha un nome e una geografia. Si chiama crollo del PRO – il partito che per due decenni ha governato Buenos Aires come fosse un’azienda privata – e prende forma nei dati impietosi dell’ultima elezione cittadina: dal 52,2% del 2019 al 15,92% di oggi. Non si tratta di una flessione, è un crollo strutturale. Una rottura profonda tra una parte della cittadinanza e un progetto politico che ha smesso di parlare alla città reale, aggrappandosi a un modello di efficienza vuota, scollegata dalle esigenze di chi vive nelle periferie materiali e simboliche.
Questo dato va letto alla luce di un fenomeno più ampio, che riguarda molte metropoli latinoamericane. La perdita di egemonia delle destre tecnocratiche, incapaci di leggere le nuove povertà urbane, l’insicurezza diffusa e il bisogno crescente di comunità, diritti, senso.
A raccogliere ciò che il PRO ha lasciato cadere non è stato – per ora – il campo progressista, ma La Libertad Avanza, il movimento che fa capo a Javier Milei. Un progetto politico che si alimenta di rabbia, scontento e sfiducia verso le istituzioni, e che ha saputo imporsi in 9 comunas su 15. Ma attenzione, non è un’adesione ideologica, è un grido antisistema, spesso confuso, disordinato, ma potente. Non è un’Argentina che si sposta a destra, è un’Argentina che non si riconosce più nel sistema dei partiti tradizionali.
Il peronismo, rappresentato dalla lista Es Ahora Buenos Aires, guidata da Leandro Santoro, ha tenuto in termini percentuali, vincendo in sei comunas, ma ha perso voti reali per via di un astensionismo che ha sfiorato il 50%. Questo ci dice una cosa semplice ma fondamentale. Quando la gente smette di votare, è la democrazia a perdere. E il progressismo non può ignorarlo.
A questo proposito, la lezione che arriva da Buenos Aires parla anche al Cile, all’Uruguay, alla Colombia, al Brasile, e parla all’Europa. Perché se la sinistra – quella autenticamente democratica, riformista, popolare – non è capace di rigenerarsi, di ascoltare, di dare rappresentanza ai bisogni reali e non alle categorie astratte, allora qualcuno lo farà al suo posto. E spesso quel qualcuno lo farà con parole d’odio, con retoriche antisolidali, con lo sguardo fisso al mercato e non alle persone.
Ma c’è anche un altro dato da leggere con attenzione. Le comunas dove il peronismo ha retto sono quelle dove c’è ancora tessuto sociale, dove l’idea di collettività è sopravvissuta alla solitudine metropolitana. Lì, la risposta alla crisi è stata partecipata, anche se minoritaria. È lì che, probabilmente, si deve ripartire.
Bisognerebbe domandarsi cosa significhi oggi costruire una nuova proposta politica in America Latina e in Europa. Una proposta che non sia solo difensiva, ma capace di immaginare un altro futuro. Che parli ai giovani, ai lavoratori, a chi è stanco di vivere precarietà come condizione permanente. Che rimetta al centro la giustizia sociale, la dignità, ma anche l’innovazione, il desiderio, la speranza.
Buenos Aires ci dice che nulla è scontato. Ma ci dice anche che non tutto è perduto. Il cambiamento passa per il riconoscimento della crisi, ma anche per il coraggio di costruire nuove strade.