
È morto Ali Rachid, e con lui se ne va un frammento insostituibile dell’anima palestinese. Non solo un uomo politico, non solo un militante, non solo una figura di riferimento: Ali Rachid era – prima di tutto, e sopra ogni cosa – un uomo palestinese. Uno che non ha mai smesso di raccontare, con le sue parole e con la sua vita, il dramma e l’orgoglio di un popolo negato.
I suoi occhi, profondi e fieri, custodivano la memoria delle pietre divelte, degli ulivi sradicati, delle chiavi arrugginite delle case perdute. Emblematico il suo racconto della casa di suo nonno, sulla collina che i coloni sionisti hanno poi ribattezzato “Collina Francese” dopo averla distrutta, rasa al suolo, per costruirci sopra un insediamento illegale. “C’erano gli ulivi,” diceva Ali, “quelli che mio nonno piantava con le mani nude, guardando Gerusalemme. Oggi al loro posto c’è un parcheggio militare. E io non posso nemmeno piangere su quella terra.”
Ali Rachid ha incarnato la resistenza non violenta, quella fatta di parole, dignità, memoria. È stato parlamentare, è stato diplomatico, è stato voce della Palestina nelle sedi internazionali, ma non ha mai voluto rinunciare a essere contadino della memoria. Non si vergognava delle sue origini semplici, le esibiva come medaglie: la storia di un popolo che arava la terra e parlava in dialetti antichi, cacciato a forza da chi voleva cancellare persino i nomi dei villaggi.
Non accettava il compromesso con l’ingiustizia. E questo lo ha reso scomodo, ignorato dai media europei, silenziato dalle cancellerie occidentali che oggi si indignano selettivamente, ma che non hanno mai ascoltato davvero chi, come lui, raccontava i crimini non da analista, ma da figlio di quella terra martoriata.
Ali Rachid ci lascia in un momento in cui la Palestina è più sola che mai, più bombardata che mai, più fraintesa che mai. Ma ci lascia anche con un’eredità immensa: quella di una resistenza umana e culturale che non può essere asfaltata da carri armati né soffocata da censure. Finché ci saranno persone capaci di ripetere le sue parole, di trasmettere la sua memoria, di raccontare la sua storia, Ali Rachid continuerà a vivere.
Ciao Ali, uomo palestinese. Ciao fratello d’identità, che non hai mai voluto dimenticare il profumo degli ulivi. Ti vendicheremo con la verità. Ti onoreremo con la dignità. Ti ricorderemo ogni volta che un bambino lancerà un sasso o disegnerà la sua casa con un gessetto su un muro occupato.
Raimondo Schiavone