(Valeria Vacca) – Camille Lepage aveva 26 anni, era una fotogiornalista francese. Quando è stata uccisa, si trovava nella Repubblica Centrafricana, nell’ovest del paese, vicino ai confini con il Camerun.
L’amore per l’Africa, la passione per il suo lavoro, il desiderio di raccontare quelle storie poco conosciute e poco raccontate, l’avevano portata a Juba, nel Sud Sudan nel 2012 e, da settembre dello scorso anno, nella Repubblica Centrafricana. Ai microfoni di Rtl la madre la descrive come “una grande appassionata di quello che faceva”.
Una passione chiara e diretta nelle pagine del sito personale della giornalista, in cui è percepibile lo sforzo di voler coniugare la professionalità della verità con la partecipazione sentita, principalmente attraverso le immagini, del modo di vivere dei giovani che diventano assassini. “Non sono sicura che capiscono che possono avere una vita diversa, non conoscono altro che la violenza”, scrive Camille nel suo sito, camille-lepage.photoshelter.com, nell’introduzione ad un suo fotoreportage.
Sicura, determinata, sorridente, appare così nell’intervista realizzata dall’Huffington Post. Nonostante la giovane età, Camille collaborava per il New York Times, Le Monde, The Guardian. Dopo l’esperienza in Sud Sudan, era arrivata in Repubblica Centrafricana dove ha collaborato con Medici senza frontiere.
Il suo corpo è stato trovato all’interno di un pick-up durante un controllo da parte della forza militare francese il 13 maggio. Secondo la ricostruzione dello stato maggiore dell’esercito, contattato da Libération, all’interno del veicolo erano presenti dieci uomini armati e cinque corpi, tra cui quello della giornalista. Camille stava viaggiando con gli anti-balaka per un reportage. Si tratta di un movimento nato nell’agosto 2013 con l’intento di proteggere i cristiani e il cui nome, come spiega il sito trackingterrorism.org, significa “anti- machete”.
L’agguato è avvenuto a Gallo, un villaggio nell’ovest del paese. Gli scontri sono avvenuti tra i miliziani anti-balaka e i ribelli musulmani armati che circolano nel paese, noti come Séléka.
Il presidente francese, François Hollande, ha ordinato l’invio immediato di una squadra di supporto francese alla polizia centrafricana affinché venga fatta chiarezza sull’omicidio della reporter.
Camille Lepage è solo l’ultima della lunga lista di giornalisti e fotografici uccisi nel mondo. I dati resi noti dall’ong americana Freedom House sono drammatici. Le statistiche del 2013 parlano di 71 reporter morti, 826 arrestati, 2160 minacciati o attaccati fisicamente, 87 rapiti, 77 costretti a lasciare il proprio Paese, 39 netizen (chi frequenta le comunità on line) e citizen-journalist (cittadini che informano) uccisi, 127 blogger e netizen arrestati.
Nel 2014 sono 37 le vittime. I sei paesi più pericolosi per gli operatori dei media sono: Siria, Iraq, Egitto, Pakistan, Somalia e India. Le cause sono diverse perché diverse sono le realtà da loro vissute. Ma le motivazioni, come racconta la storia di Camille, sono le stesse: la passione per il racconto, per le notizie vere, per il confronto diretto con le storie silenziose, difficili da capire, che meritano di essere raccontate ma che non dovrebbero avere un prezzo così alto.