Lo Stato islamico ha bandito la chimica e la filosofia dai programmi scolastici nella città di Raqqa, capitale dell’autoproclamato califfato in Siria, imponendo un “programma islamico” per gli studenti e chiedendo agli insegnanti di mettere a punto un “sistema di istruzione islamico”.
Le autorità del califfato hanno precisato che la riforma dell’istruzione sarà passata al vaglio di una commissione appositamente istituita e ha promesso a insegnanti e presidi stipendi “adeguati” al loro lavoro, dopo che il governo siriano ne aveva sospeso il pagamento nelle zone controllate dalle milizie jihadiste. Diverse scuole che hanno continuato a seguire i programmi nazionali sono state chiuse.
Raqqa è stata la prima città conquistata dai miliziani dell’ISIS, la prima dove è stato instaurato un emirato islamico che applica la sharia. Prima di loro erano stati i qaedisti del Fronte al Nusra ad applicare la legge islamica nella zona di Aleppo.
Entrando nella città nel nord-est della Siria è esposto un cartello con la seguente scritta: “Chiunque abbia da lamentarsi di un qualunque elemento dello Stato islamico, sia esso l’Emiro o un soldato semplice, può venire e presentare la lamentela in ogni quartier generale dello Stato islamico. La lamentela deve essere scritta, comprensiva di dettagli e prove”. Il cartello è firmato dall’emiro locale.
In giro per Raqqa ci sono gli hisbah, una specie di polizia speciale dello Stato Islamico che si occupa di sorvegliare 24 ore su 24 le vie della città. Gli hisbah controllano tutti gli aspetti della vita degli abitanti di Raqqa: fanno togliere locandine considerate troppo occidentali dalle pareti dei negozi; arrestano chi vende alcool o traffica con la droga; controllano i prezzi e la qualità dei prodotti di tutti i negozi.
Per chi “distrugge la terra”, ossia a chi si oppone alla volontà divina, c’è “l’esecuzione capitale, la crocifissione, l’amputazione delle braccia o delle gambe, l’esilio”.
Ai cristiani è stato imposto lo statuto di dhimmi (uno statuto umiliante di sottoposti ai musulmani). Oltre a vedere in pericolo la loro vita, i cristiani della città devono pagare la “jiziya”, l’antica tassa obbligatoria per i non musulmani. I cristiani non devono esporre croci o simboli della loro fede in ambienti frequentati dai musulmani e soprattutto al mercato; non devono usare altoparlanti per il richiamo alla preghiera; devono compiere i loro riti a porte chiuse all’interno degli edifici di culto. Lo Stato Islamico esige anche che i cristiani si conformino alle regole sul vestire in modo modesto imposte a tutti gli abitanti.
Tutte regole, quelle imposte ai cristiani, che spesso nella pratica vengono scavalcate da una regola suprema: o ti converti o ti uccidiamo.
Le donne, inoltre, possono uscire di casa solo se velate da capo a piedi, solo se l’uscita è necessaria e autorizzata da padri, mariti o fratelli e solo se un uomo della famiglia le accompagna.
Per tre settimane il giornalista di Vice News, Medyan Dairieh, è stato embedded a Raqqa, dove ha potuto filmare molti aspetti della vita in città. Alcuni combattenti dello Stato Islamico gli hanno infatti mostrato quali sono le regole imposte dal Califfato ai cittadini. In un video, un documento eccezionale, il capo hisbah ferma un uomo che sta camminando per strada a fianco della moglie: poi gli ordina di dire alla moglie di cambiare il materiale dell’abito che indossa (abito nero, dalla testa ai piedi) e di non lasciare che la parte bassa del vestito si sollevi: «È tua moglie, fratello, preservala», dice il capo hisbah.
Tra gli aspetti più inquietanti c’è poi quello delle donne che hanno accettato di sposare miliziani dello Stato Islamico per paura di rappresaglie. Secondo Monzir al-Sallal, attivista di Aleppo, sarebbero centinaia i matrimoni combinati in questa parte della Siria. Molti combattenti stranieri giunti in Siria portano con sé tutta la famiglia, mentre i più giovani preferiscono sposare donne locali.
Si tratta di matrimoni ottenuti con la violenza e le minacce e che durano giusto qualche mese. Legami perfettamente legali, con tanto di certificato. Molto spesso, denuncia al – Sallah, sono le stesse famiglie che offrono le proprie figlie ai guerriglieri, in cambio di tranquillità. Le nozze, però, non riparano dalla violenza: molte spose infatti sono state ricoverate in ospedale perché sono state stuprate dai loro “mariti”.
Ma non tutte accettano questa pratica. Fatima al-Abdallah al-Abou, 22 anni, si è suicidata perché si è rifiutatadi sposare un miliziano jihadista proveniente dalla Tunisia. Fatima studiava lettere all’Università di Aleppo e con la guerra era tornata vivere ad Al-Sahlabiyah, a est di Raqqa.