(Ammar al-Moussawi) – Hezbollah, spesso definito come un’organizzazione caratterizzata da specificità di natura militare, al contrario, si contraddistingue per i suoi aspetti di carattere politico, culturale, sociale e mediatico. Da più di trent’anni Hezbollah partecipa attivamente alla vita pubblica contribuendo allo sviluppo socio-culturale del Paese. Grazie a questa intensa attività, svolge un ruolo attivo all’interno delle organizzazioni della società accanto ai giovani, agli studenti e ai sindacati. Insieme ad altri partiti e altre forze libanesi, ha contribuito al miglioramento delle condizioni di vita del Paese. Inoltre, Hezbollah ha fornito il proprio sostegno alla liberazione del Libano e, insieme ad altri partiti libanesi, ha contribuito alla resistenza contro l’occupazione israeliana.
Il nostro impegno, come Hezbollah, è legato al fatto che noi crediamo che sia dovere di tutti i libanesi prendere le armi per difendere il proprio territorio da forze occupanti. Non solo, ma crediamo che sia doveroso, da parte di chiunque, difendere il proprio Paese e la propria nazione, in caso di aggressione esterna.
La Resistenza è un diritto dell’uomo. È un percorso che, nella storia, è stato attraversato anche dai popoli europei. Essa non è un concetto nuovo, è una realtà conosciuta a tutti. Per questo motivo, riteniamo che sia possibile far convergere le diverse posizioni sul ruolo della Resistenza verso una visione comune. Non solo, ma proprio in virtù della storia vissuta dal continente europeo, riteniamo che anche gli stessi popoli europei possano comprendere un movimento di lotta resistente. Per questo, quando ci chiediamo perché esiste la Resistenza, dobbiamo pensare che essa è il risultato e non il motivo. Il motivo è l’occupazione. Finché esiste il motivo dobbiamo aspettarci che vi siano azioni di Resistenza.
Pertanto, anche se Hezbollah decidesse di lasciare le armi e di partecipare al processo politico, altre persone abbraccerebbero le armi al nostro posto perché il motivo, ossia l’occupazione, continuerebbe a sussistere. Per comprendere l’attualità, allora, dobbiamo coglierne le radici ed esplorarne i motivi.
La politica patriottica e il programma di Resistenza di Hezbollah hanno esposto il movimento a difficili campagne mediatiche e a forti pressioni da parte degli americani e di alcuni Paesi europei. A tal proposito, Hezbollah è stato inserito nella “lista nera” del terrorismo, nonostante l’assenza di prove idonee a considerare la natura terroristica del movimento. Hezbollah, infatti, è una forza politica che esprime ministri, deputati e rappresentanti nelle diverse circoscrizioni del Libano. La nostra lotta è stata una battaglia condotta contro soldati armati che occupavano ingiustamente il nostro territorio. Siamo stati aggrediti e, allo stesso tempo, abbiamo subito una condanna per aver difeso la nostra terra. Eppure, ancora oggi, nonostante la decisione europea di inserire Hezbollah tra le organizzazioni terroristiche, siamo pronti a collaborare per trovare soluzioni di comune accordo. Tuttavia, non intendiamo abbandonare le nostre convinzioni politiche per le quali, al contrario, siamo disposti a subire ancora pressioni internazionali.
La campagna di disinformazione dei media continua a sostenere che Hezbollah abbia occupato la Siria e che sia responsabile dell’intera crisi siriana. Tale menzogna accusa ingiustamente il nostro movimento che, invece, è intervenuto sul territorio in ultima istanza. Per comprendere questa manovra, dobbiamo sapere che la Siria si trova al confine con il Libano e, con esso, condivide la geografia e diversi villaggi. Molte famiglie, per esempio, sono sparse nel confine tra la Siria e il Libano. Non solo, il Libano condivide con la Siria anche le peculiarità religiose. Il mosaico siriano, infatti, è simile a quello libanese, scenario caratterizzato da una diversità confessionale. A partire dallo scoppio della crisi, questa variegata realtà religiosa e culturale ha coinvolto stati, movimenti e gruppi estremisti provenienti da più di 83 paesi, tra i quali Australia, Canada, Francia, Italia, Afghanistan, Algeria, Egitto, Cecenia. Quella siriana, pertanto, non è una questione nazionale, bensì è una crisi internazionale che sembrava sfociare in un vero e proprio conflitto sotto l’egida statunitense con il pretesto dell’arsenale chimico. Questo possibile scenario non ha minacciato solamente le comunità, i confini e i villaggi libanesi, ma ha anche messo in pericolo le altre minoranze presenti in Siria. Basti pensare che gran parte degli abitanti dei villaggi cristiani e sciiti sono stati cacciati e costretti a divenire parte della grande massa dei profughi.
Questa guerra, dunque, non è una lotta portata avanti razionalmente dai cittadini siriani, ma un attacco preventivo condotto da combattenti disposti a compiere le peggiori razzie. Non conosco quale sia l’agenda di questi individui, tuttavia, il fatto che l’Occidente sia disposto a sostenere questi personaggi ne mina certamente la credibilità e l’affidabilità. Il suo proclama contro il terrorismo internazionale non è coerente con il proprio sostegno a chi il terrorismo lo compie sul campo, in Siria, né è coerente con l’appoggio offerto ad Al-Qāʿida. Questo fa certamente pensare che il programma sia quello di consegnare la Siria a questi assassini.
Noi, pur continuando a partecipare alla guerra in Siria, crediamo che il conflitto non sia la strada giusta per risolvere la crisi. Al contrario, riteniamo sia importante condurre le parti coinvolte verso un tavolo di discussione. Questa è una strada possibile a condizione che si ponga fine al sostegno militare ed economico di queste bande terroriste. E, su questo, la stessa Europa deve dimostrare la propria affidabilità. Tuttavia, pensando al caso francese, il proclama contro il terrorismo in Mali non può essere credibile se, al tempo stesso, si sostengono le posizioni dei terroristi in Siria.
Per quanto riguarda l’Italia, riteniamo che la sua posizione sia stata saggia e moderata. Roma, infatti, ha respinto l’ipotesi di attacco alla Siria e ha insistito affinché si adottassero soluzioni diplomatiche.
Fieri di combattere il terrorismo, viviamo questo momento come una lotta e non come una colpa. In diversi incontri con le diplomazie europee a Beirut ho più volte ribadito: «Arriverà il giorno in cui ci ringrazierete per aver combattuto il terrorismo al vostro posto». La Siria, infatti, è diventata un terreno fertile per il terrorismo. Ci sono circa centomila combattenti, l’80% dei quali appartiene a gruppi estremisti, divisi in quasi mille fazioni, che combattono il regime dichiarando guerra al popolo siriano e, in particolare, alle confessioni minoritarie. Allo stesso tempo, queste bande sono lacerate al loro interno perché divise nei loro interessi e nei diversi tentativi di spartizione delle risorse siriane. Per esempio, le riserve petrolifere e quelle strategiche del grano vengono vendute al mercato turco. In questo modo l’Unione Europea, con la decisione di comprare il greggio siriano dall’opposizione, ha indirettamente incoraggiato il furto delle risorse del popolo siriano. Non è forse un crimine tutto ciò?
Inoltre, le sanzioni economiche sulla Siria rappresentano misure di distruzione di massa che costringono il popolo alla fame. La guerra, le immigrazioni e le sanzioni aumentano la sofferenza del popolo siriano. Hezbollah ritiene che la strada delle sanzioni non risolva la crisi ma che, al contrario, conduca verso ulteriori degenerazioni. La minaccia che incombe su di noi, infatti, è il terrorismo.
Tratto dal volume Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore, 272 pagine, 16 euro
Ammar al-Moussawi (1962). Libanese, nel 1996 è diventato deputato presentandosi alle elezioni con la lista di Hezbollah. Nel 2000 è stato rieletto. Dal 2009 è Responsabile delle Relazioni Internazionali del Partito.