(Giovanni Carfora) – Nel luglio 1982 l’operazione “Pace in Galilea”, scatenata da Israele per eliminare dal sud del Libano le postazioni militari palestinesi, si concluse con un trattato di pace firmato dai dirigenti maroniti con lo stato ebraico. La Siria, che non poteva reggere il confronto militare con Israele, alimentò i settori più virulenti della comunità sciita, affinché diventassero la punta di diamante dell’opposizione al nuovo corso della politica libanese. Damasco autorizzò il dispiegamento di alcune centinaia di guardiani della rivoluzione iraniana, i pasdaran, nella pianura della Bekaa, sotto il suo controllo, permettendo alla Repubblica islamica di diventare parte della scena politica libanese. Tra i gruppi islamici emerse il bisogno di creare una struttura unitaria, così i principali rappresentanti cominciarono una serie di discussioni circa la loro percezione dell’attività islamica in Libano. I risultati furono riassunti in un documento finale a seguito del quale furono eletti nove rappresentanti tra le parti riunite: tre per la congregazione clericale della Bekaa, tre rappresentanti dei vari comitati islamici, e tre per il Movimento Islamico Amal. Il documento, che divenne famoso come “Documento dei Nove”, fu presentato all’ayatollah Khomeini, leader spirituale e politico sciita dell’Iran rivoluzionario, il quale garantì la sua approvazione conferendo in tal modo il beneplacito del Giureconsulto.
Successivamente vari gruppi islamici adottarono il manifesto, disciogliendo le precedenti organizzazioni in favore della nuova struttura che prese il nome di “Hezbollah” facendo riferimento al Corano.
Tra i rappresentanti della Bekaa emersero le figure di Subhi al Tufayli e Abbas al Mussawi. Il primo fu eletto segretario del movimento, il secondo, fino al 1988, fu a capo dell’ala militare di Hezbollah, la Resistenza Islamica. Abbas al Mussawi si distinse sia per le sue capacità a capo della resistenza, ma anche per le doti politiche che coincidevano con la necessità di Hezbollah, dopo gli accordi di Ta’if che posero di fatto fine alla guerra civile libanese, di entrare a far parte attivamente della vita politica libanese. Nel maggio del 1991, al-Mussawi fu eletto segretario generale al posto dell’intransigente e radicale al Tufayli e promise, oltre alla rispettosa partecipazione al governo democratico del paese, di intensificare l’attività di resistenza contro Israele fino a quando non sarebbe stato definitivamente sconfitto ed espulso dal Libano.
Il 16 febbraio 1992, elicotteri israeliani attaccarono un convoglio nel sud del Libano, uccidendo al-Mussawi, sua moglie, il figlio e altre quattro persone. Nel 1983 Hezbollah mise a segno due colpi eccezionali che ne fecero un attore geopolitico di primo piano. In seguito all’invasione israeliana, il 15 e il 16 settembre 1982 sotto gli occhi dell’esercito sionista, le milizie falangiste cristiane avevano massacrato i profughi palestinesi nei campi di Sabra e Shatila, nei dintorni di Beirut, provocando uno scandalo di portata internazionale. Una forza multinazionale composta da truppe americane, francesi ed italiane, fu inviata in Libano per tenere sotto controllo la situazione. Hezbollah percepì questo ulteriore invio di truppe come un rafforzamento della presenza occidentale nel paese e, il 23 ottobre 1983, lanciò uno spaventoso attacco suicida contro i contingenti americano e francese della forza internazionale provocando numerose vittime. Il 4 novembre si scagliò contro il quartier generale dell’esercito di occupazione israeliano a Tiro. La gravità delle perdite convinse i tre paesi a ritirare le truppe, mettendo fine all’allineamento dello stato libanese con Israele e l’occidente. Hezbollah si dimostrò capace di infliggere agli stati occidentali più potenti e ad Israele importanti rovesci militari seguiti da una sconfitta politica da cui ne trasse una fama eccezionale, ben oltre la comunità sciita.
Il lavoro di resistenza non si limitava solamente ai membri di Hezbollah, ma esteso anche ad una cerchia di volontari per le operazioni campali e a guarnigioni per un limitato periodo di tempo, tenendo in considerazione le necessità dei singoli affiliati. Costoro conducevano la loro vita quotidiana in una maniera normale, a lavoro o all’università, fossero essi ingegneri, dottori, professori, impiegati o quant’altro. Il numero di persone attratte e il supporto che dettero alla causa fu notevole: non ci fu mai scarsità di affiliati per la causa della resistenza. La partecipazione fu sempre abbondante ed anzi aumentava nel tempo, grazie anche all’esempio e al sacrificio dei martiri.
L’aspettativa della resistenza non era di concentrare l’attrezzatura e le risorse sul campo di battaglia e di gettarsi in una guerra classica col nemico, poiché non disponeva di un esercito, di equipaggiamento e capacità militari. Il lavoro della resistenza fu essenzialmente “mordi e fuggi”, lasciando il nemico sorpreso senza un obiettivo visibile da colpire.
La resistenza individuò nella sicurezza il maggior punto debole del nemico israeliano. Le operazioni furono perciò concentrate nell’infliggere il maggior numero possibile di vittime e la particolare topografia del territorio libanese servì loro da valore aggiunto per ottenere questo scopo. Tale strategia si rivelò effettivamente efficace poiché non esponeva tutta la popolazione alla vendetta israeliana e la risolutezza dei mujahidin, alla ricerca del martirio e straordinariamente efficaci nelle loro missioni, si concentrava sull’esercito israeliano.
L’obiettivo era di colpire il nemico duramente, a prescindere dai suoi livelli di difesa, con tutti i mezzi a disposizione fossero esse trappole, mortai, bombe o attraverso il martirio. La possibilità di infliggere perdite senza il sacrificio dei martiri era sempre tenuta in alta considerazione, e la resistenza cercava di ottenerle con bombe piuttosto che con operazioni suicide.
La scelta poteva essere qualche volta limitata ad un tipo specifico di operazioni dato la mancanza di alternative. L’obiettivo era di tenere il ritmo e la frequenza delle operazioni ad un appropriato livello richiesto.
Le operazioni martirio emersero come un approccio tipico adottato dalla resistenza. Anche se solo dodici operazioni furono eseguite con autobombe, queste pericolose operazioni, dove la possibilità del martirio era pressoché certa, furono di incalcolabile valore per i fini di Hezbollah.
Hezbollah ha sempre dato particolare attenzione al lavoro sociale,considerato un dovere del partito. Nessun aspetto nell’aiutare i poveri è stato mai trascurato, attraverso la realizzazione di comuni responsabilità sociali, rispondendo ai bisogni urgenti, sviluppando programmi benefici e istituendo orfanotrofi, centri culturali, cliniche ed enti di assistenza a Beirut, nella valle della Bekaa e nel Libano meridionale. Ha svolto un grande lavoro assistenziale, soprattutto a favore dei giovani emarginati, attraverso la rete dei sacerdoti affiliati al partito e grazie al sostegno logistico e finanziario dell’Iran. Per tutti gli anni ottanta riprese i metodi della mobilitazione popolare sperimentati dal partito Amal e le celebrazioni per il martirio dell’imam Husayn, momento di presa di coscienza collettiva della comunità, diventarono l’occasione per manifestare con virulenza contro i nemici dell’Islam. Terreni ed edifici furono occupati e ridistribuiti nelle zone controllate dal partito. Il movimento poté sviluppare una capacità d’azione eccezionale, se confrontata con le attività degli altri gruppi. A partire dagli anni novanta ha moltiplicato gli sforzi alla ricerca di fondi e nell’offrire risorse per i servizi sociali cooperando con le istituzioni pubbliche ufficiali.
I servizi sociali servono, nella visione di Hezbollah, a rafforzare la fiducia dei sostenitori nella causa e nella lotta del partito, poiché esso coopera, collabora e unisce le forze per rimanere forte e tenace nel suo ruolo politico e di resistenza.L’erogazione di servizi sociali rafforza sostanzialmente la legittimità di Hezbollah come movimento consacrato al benessere collettivo del popolo libanese. E questo impegno è secondo per importanza solo alla resistenza contro l’occupazione. (parte 1. continua)
Tratto dal volume Lebanon, viaggio nella resistenza libanese (Arkadia, 2012)