Talal Khrais, Bekaa (Libano) Damasco (Siria) – Sabato 24 gennaio sarei dovuto partire per Damasco per un servizio stampa sul nuovo scenario siriano all’indomani della caduta di importanti aree occupate da Jabhat al-Nusra e dallo Stato dell’Iraq e del Levante. Ma ho deciso di cambiare destinazione e di andare al confine verso la Bekaa, dove i militari libanesi, privi di mezzi, combattevano da 24 ore i jihadisti che cercavano di avanzare sul versante libanese per recuperare un po’ di quella dignità persa in Siria, dopo la liberazione di Kobane, e in Iraq, con la liberazione della Provincia di Dayala.
Il Paese dei Cedri che ha già numerosi martiri continua a seppellire i corpi di tanti altri combattenti. I giorni scorsi, dieci militari libanesi presso la postazione di Tallet al-Hamra, che controlla le campagne di Ersal, hanno combattuto come grandi eroi. Centocinquanta miliziani dell’ISIS e di Jabhat al-Nusra si sono scontrati con i dieci militari libanesi, otto dei quali caduti martiri. Solo due sono riusciti a salvarsi. I terroristi, fuggiti immediatamente all’arrivo dei rinforzi, hanno lasciato sul terreno cinquanta uomini. All’indomani della battaglia, nella città di Saednayel Yahia el Dine ho incontrato il padre del soldato Ahmed Addineh, “sono fiero di mio figlio, ha combattuto fino all’ultimo, ha impedito ai terroristi di entrare nei villaggi e uccidere tante persone innocenti”. Con le lacrime agli occhi, ma col sorriso fiero del proprio figlio, ha proseguito: “Mio figlio è un grande eroe, lo ricordo nel campo di battaglia, quando abbracciava la sua mitragliatrice”.
Il 25 mattina sono partito per Damasco e vi sono rimasto due giorni. Al mio arrivo sono stati lanciati settanta razzi, uno dei quali ha colpito l’albergo dove mi trovavo, causando, fortunatamente, solo dei danni materiali. I razzi partivano dalla Ghouta Orientale, vicino a Damasco, dove i terroristi stanno subendo una pesante sconfitta. Secondo gli esperti, il lancio di razzi sulla capitale sarebbe una vendetta contro i damasceni sostenitori dell’Esercito Arabo Siriano. Dopo una massiccia risposta dell’artiglieria da parte dell’Esercito Regolare, il lancio di razzi si è fermato. In serata, la vita a Damasco è ritornata alla normalità, con i locali aperti fino alla mezzanotte e le macchine che proseguivano a circolare come nella routine quotidiana.
È evidente che, dopo quattro mesi di occupazione, la liberazione di Kobane ha sollevato il morale della gente e dei militari. I terroristi dell’ISIS non sono degli eroi, sono dei vigliacchi che terrorizzano la gente e uccidono a sangue freddo. Ma oggi crollano ovunque. Succede anche in Iraq dove l’Esercito del paese, grazie al sostegno dei combattenti volontari, ha sottratto il controllo della provincia di Diyala, a nord est della capitale irachena, dai terroristi dello Stato Islamico. L’ISIS batte in ritirata ovunque malgrado il confine turco sia ancora aperto ai terroristi volontari.
Combattenti curdi di ritorno da Kobane mi raccontano della conquista della città. Sono ancora centinaia i cadaveri nelle strade e sotto le macerie, molti sono i corpi di giovani ragazzi e la maggioranza sono cittadini stranieri. Se per le strade dei villaggi curdi si respira entusiasmo, non si può dire altrettanto del governo turco. Per Ankara questa vittoria è un passo verso l’autonomia del popolo curdo in Iraq e in Siria e prospetta il progetto di un’autonomia curda anche all’interno dei confini turchi. Colleghi che lavorano in Turchia hanno raccontato le reazioni della popolazione curda alla liberazione di Kobane. La folla è scesa in piazza con grande entusiasmo, sventolando bandiere della nazione curda, del Pkk e le immagini del leader Abdullah Öcalan. Nonostante il rischio di un massacro dei curdi di Kobane e nonostante le pressioni internazionali, il governo islamico-conservatore della Turchia ha sempre rifiutato di intervenire militarmente a favore delle forze curde che hanno difeso Kobane contro i jihadisti, bloccando anche l’uscita dal paese di combattenti volontari.