(Alessia Lai) – Viene dall’America Latina il primo tentativo coordinato di creare un quadro chiaro e condiviso sulla regolamentazione del Web. In tempi di globalizzazione la Rete è il paradigma dell’assenza di frontiere, ma porta con sé tutte le contraddizioni e i pericoli di uno strumento che appare libero ed è in realtà gestito a dominato dal mondo commerciale e dai Paesi che di quel mondo sono le “teste di serie”. Il caso Snowden, esploso nell’estate del 2013 ha sollevato il velo sull’uso che l’Nsa, la National security agency statunitense, ha fatto e fa della rete per controllare il resto del mondo, amici e nemici. A fronte dei borbottii poco incisivi di gran parte del mondo filo-Usa, Paesi europei in testa, a respingere con vigore il controllo nordamericano del web era stata l’America Latina, dove molti Paesi si erano addirittura offerti di concedere asilo politico al ricercatissimo Snowden, allora rifugiato nell’aeroporto internazionale di Mosca. Ma è stato soprattutto il Brasile ad alzare una voce forte e chiara contro le intercettazioni e l’abuso in Rete. Grazie alle rivelazioni di Edward Snowden, rese pubbliche dal giornalista Glenn Greenwald nel luglio 2013, il Brasile ha scoperto di essere stato parte di una rete di 16 basi di spionaggio dei servizi segreti Usa che hanno intercettato milioni di telefonate e di messaggi di posta elettronica. Di questa rete facevano parte anche Ecuador, Argentina, Venezuela, Colombia, Bolivia, Egitto, India, Iran, Turchia, Cina, Russia, Francia e Messico tra gli altri. Le intercettazioni ai danni di Brasilia riguardavano conversazioni della presidenta Roussef e messaggi da lei scambiati con la Petrobras, la statale petrolifera brasiliana, un colosso degli idrocarburi. Di fronte alle spiegazioni, ritenute «insufficienti», ottenute da Washington la Roussef ha addirittura cancellato la visita negli Usa prevista per il 23 ottobre scorso. Poi un nuovo “incidente”: pochi mesi dopo la prima rivelazione, nei primi giorni dello scorso ottobre la presidenta brasiliana ha usato il suo account Twitter (@dilmabr) per chiedere al Canada di spiegare in quale modo avesse ottenuto illegalmente informazioni segrete sul ministero brasiliano delle Miniere e dell’Energia. Difatti un nuovo documento della Nsa in mano a Edward Snowden e diffuso dai media brasiliani ha svelato che agenti canadesi avrebbero sottratto dati dalla struttura del ministero e dal suo sistema di comunicazione interno, intercettato telefonate e posta elettronica e ottenuto informazioni classificate. Ma anche in questo caso, nonostante sia stato il Canada a essere beccato con le mani nella marmellata, nel furto di dati c’è lo zampino nordamericano. Secondo le rivelazioni, infatti, i dati ottenuti dalle barbe finte canadesi erano stati messi a disposizione dei colleghi statunitensi (e britannici) nel giugno del 2012.
A fine ottobre Dilma Rousseff, nel corso di una intervista a una emittente locale, ha definito inammissibili le attività di spionaggio portate avanti dal governo Usa in vari paesi del mondo e ha proposto la creazione di un quadro regolatore internazionale per la protezione dei dati in Internet, ribadendo la necessità di adottare misure per affrontare e evitare che si ripeta l’abuso e sottolineando che il pretesto avanzato dalla Casa Bianca per poter spiare le comunicazioni planetarie, cioè che le intercettazioni vengono fatte per combattere il terrorismo, non funziona con il caso del Brasile né con la violazione delle telefonate fatte dal cellulare personale di Angela Merkel. Ma se la Cancelliera tedesca, in perfetto e prevedibile stile euro-atlantico, a parte qualche lamentela nell’immediato delle rivelazioni ha rapidamente dimenticato l’affronto, Dilma Rousseef ha fatto della regolamentazione del web una vera e propria battaglia politica, annunciando la decisione del suo governo di convocare per il 2014 un Conferenza internazionale sulla sicurezza informatica e di approntare un regolamento nazionale che disciplinasse l’uso della Rete. Promesse mantenute.
Il 23 aprile scorso, a San Paolo del Brasile, durante NetMundial (l’incontro multisettoriale globale organizzato – come promesso – sul futuro della governance di Internet), la presidenta ha annunciato l’approvazione alla Camera dei deputati brasiliana del “Marco Civil da Internet”, la legge con la quale è stata varata una sorta di Carta fondamentale della Rete per garantirne la neutralità e perché venga tutelata la privacy di chi usa il Web nel Paese sudamericano. Il vertice NetMundial 2014 ha visto la partecipazione di quasi tutti i paesi del mondo, dei rappresentanti delle aziende che operano nel settore e di ampi settori della società civile. Tutti con idee e interessi diversi ma consapevoli del fatto che sarà inevitabile dover pensare a una Rete usata e gestita in base a standard globali. La guerra commerciale, visti i proventi che la Rete può garantire, corre parallela agli interessi geopolitici del Nordamerica, che non a caso ha il monopolio del settore Web. Dato per inscindibile l’intreccio tra potere politico e potere economico, Internet è la dimostrazione di quanto questo sia diventato realmente globale e di quanto un solo paese, nel caso specifico gli Stati Uniti d’America, possa controllare o influenzare quel che accade nel resto del mondo. Non è un caso che provenga proprio dal Sudamerica la volontà di rendere multilaterale la gestione della Rete. I cambiamenti politici che da più di dieci anni caratterizzano l’America Latina, con governi socialisti e progressisti, seppure con diverse gradazioni di intensità, che hanno dato vita alla volontà latinoamericana di costituire un polo geopolitico fondamentale nello scacchiere mondiale. Non in un’ottica di predominio, ma di interazione multipolare con il resto del mondo e con un’attenzione particolare alle relazioni sud-sud. Una visione che si contrappone al mondo unipolare rappresentato fino ad oggi dall’indiscusso e accettato (almeno in quelle che vengono definite “democrazie occidentali”) dominio geopolitico nordamericano. Dilma Roussef ha messo ora il primo mattone per costruire la democratizzazione del Web, iniziando a dare l’esempio con il “Marco Civil da Internet” e con la convocazione del summit NetMundial. Secondo Dilma il Brasile, membro delle economie emergenti indicate con l’acronimo Brics, può contribuire in modo importante al processo di costruzione di una nuova governance di Internet grazie al grande processo interno che ha portato all’approvazione della legge che ora attende il definitivo via libera dal Senato brasiliano. «Il Brasile ha molto da offrire dal grande processo interno che ha portato alla legge “Marco Civil da Internet”. (…) La legge, che Sir Tim Berners-Lee (il creatore della Rete) ha considerato ‘un dono per il web nel suo 25° compleanno’, dimostra la fattibilità e il successo di discussioni multisettoriali, nonché dell’uso innovativo di Internet come piattaforma di discussione interattiva» . Lo stesso Berners-Lee, presente al NetMundial, ha sottolineato la natura multisettoriale con cui la proposta del “Marco Civil” è stata costruita, collegando tutti i tipi di organizzazioni: il governo, la società civile, il settore delle imprese. «Tutte queste entità hanno portato cose diverse al tavolo, contribuendo in diversi modi. Questo è lo spirito che assicura che Internet sia governato nel modo più efficiente… perché è un enorme interesse pubblico, e deve essere gestito come tale». Interesse pubblico che per il creatore della Rete deve essere alla base della rete ovunque: «Quando è gratuita e aperta, (la Rete, ndr) è una fonte di incredibile creatività, crescita economica, e se qualcuno la controlla, commercialmente o politicamente per qualsiasi uso o scopo, questo dà loro troppo potere. Per questa ragione società e governi hanno la tentazione di cercare di controllare Internet, e dobbiamo cercare di fermarli». Il Brasile ha fatto il primo passo per sottrarre Internet al potere statunitense, ma il cammino si prospetta ancora lungo, e per niente semplice.