(Alberto Negri) – La guerra nello Yemen, lembo fascinoso di un’antica Arabia Felix dal presente tormentato e apparentemente remoto, è un’altra resa dei conti tra sciiti e sunniti che con l’intervento militare dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati radicalizza gli schieramenti nel mondo musulmano, lascia spazio al terrorismo jihadista e può influenzare con i suoi riflessi diplomatici il negoziato nucleare con l’Iran. I raid dei caccia sauditi hanno fatto divampare un conflitto per il controllo strategico della regione: su un fronte c’è il maggiore esportatore di petrolio al mondo appoggiato dalle monarchie del Golfo e dalla Lega Araba; sull’altro l’Iran degli ayatollah, sponsor dei ribelli sciiti Houthi in Yemen, alleato del regime di Bashar Assad in Siria, del governo di Bagadad e degli Hezbollah libanesi. Un “asse della resistenza” al Califfato, Al Qaeda e ai regimi sunniti, Turchia compresa, che si gioca la partita della sopravvivenza.
L’Occidente in teoria dovrebbe appoggiare gli sciiti schierati contro Al Qaeda e il Califfato, espressione del radicalismo arabo, ma sostiene le potenze sunnite per evidenti interessi: da loro prendiamo gas e petrolio, a loro vendiamo armi, sono soci e investitori nel capitale imprenditoriale e finanziario. Una scommessa ben remunerata ma rischiosa, come dimostra il recente passato a partire dall’11 settembre in poi. Delle molteplici tragedie del Medio Oriente il conflitto tra sciiti e sunniti, che si replica ogni giorno in Siria e Iraq, è quello più antico: cominciò a Kerbala nel 680 quando il nipote di Maometto Hussein venne trucidato e decapitato dalle truppe del Califfo di Damasco Yezid. Fu l’inizio di uno scisma mai ricomposto.
I sunniti, la maggioranza del mondo musulmano, accettarono l’ortodossia dei Califfi. Gli sciiti, minoranza del 15-20% ma prevalenti in Iran, Iraq, Bahrein, Libano e Yemen seguirono la tradizione degli Imam successori del Profeta. I ribelli sciiti dello Yemen, dopo avere dominato per secoli il Paese, non hanno mai troppo sopportato né il governo centrale né i sunniti. L’origine della guerra civile ha quindi radici antiche ma da quando gli Houthi nel settembre scorso hanno conquistato Sanaa e poi liquidato il governo del presidente sunnita Mansour Hadi il conflitto settario è diventato internazionale.
La guerra per procura tra iraniani e sauditi si è trasformata in conflitto a campo aperto. Gli Houthi, oltre all’Iran, contano su un altro alleato, le brigate fedeli all’ex presidente Abdullah Saleh, defenestrato nel 2012 dopo tre decadi al potere. L’avanzata del fronte sciita alla conquista di Aden ha provocato la reazione di Riad: qui i sauditi hanno i terminali petroliferi e dallo stretto di Bab el Mandeb passa il 40% del petrolio mediorientale. Aden è per loro un’invalicabile linea rossa. I sauditi hanno quindi trovato l’immediata solidarietà militare degli Stati del Golfo e dell’Egitto per riprendere questa base strategica.
La coalizione conta anche sugli Stati Uniti che con la ribellione degli Houthi hanno perduto le loro basi e la possibilità di continuare la guerra con i droni ad Al Qaeda. Ma questa non è una guerra al terrorismo. Il fronte sunnita bombarda gli Houthi ma non Al Qaeda e neppure il Califfato. Anzi, come dimostrano gli spaventosi attentati alle moschee di Sanaa (150 morti) i sauditi usano i jihadisti in funzione anti-sciita. È cosi che lo Yemen sta affondando e tra qualche tempo non potremo dire che non sapevamo.
Fonte: Il Sole 24 Ore