L’accordo preliminare sul nucleare iraniano siglato ieri a Losanna apre scenari per ora incerti per Teheran e per i suoi rapporti con l’Occidente. È quanto sostengono alcuni esperti intervistati dal New York Times, divisi tra chi sostiene che per l’Iran – e soprattutto per l’ala moderata della sua classe politica – si apra un periodo positivo e chi invece ritiene che l’accordo possa avere un effetto boomerang per il governo del presidente Hassan Rouhani.
Per ora, vista la portata generale dell’accordo, entrambi gli scenari appaiono possibili. «Dopo tre decenni di propaganda a favore di una cultura fondata sulla sfida agli Usa, sarà curioso vedere se e come (la guida suprema, ndr) Ali Khamenei sosterrà il compromesso sul nucleare come un atto di resistenza», ha affermato Karim Sadjadpour, esperto di Iran del Carnegie Endowment for International Peace. Le voci che arrivano dall’amministrazione di Barack Obama sono tutte all’insegna dell’ottimismo, ma non nascondono che il ministro degli Esteri Mohamed Javad Zarif, in prima fila nei negoziati, avrà un bel da fare a «vendere» l’accordo di Losanna ai suoi connazionali. «Non c’è dubbio – ha detto un funzionario dell’amministrazione Usa – che Zarif dovrà riuscire a vendere questo accordo, proprio come dovremo fare noi. E questo compito non è facile né scontato».
«La società civile iraniana, in contrasto con gli ‘hardliner’, voleva assolutamente questo risultato – ha affermato Sadjadpour – ma non è garantito che un accordo sul nucleare porterà una grande apertura politica in Iran», in quanto i più conservatori puntano sull’obiettivo opposto: «Far capire alla gente che la flessibilità esterna non vuol dire debolezza all’interno». In particolare, se l’accordo non dovesse dare i frutti sperati soprattutto in campo economico, secondo l’esperto Khamenei impiegherà poco a puntare l’indice contro Rohani. La Guida Suprema, a suo dire, «ha sempre minato e in fin dei contri castrato ogni presidente con cui ha lavorato», per proteggere sé stesso e il regime. «Dopo 26 anni al potere – ha aggiunto – c’è da dubitare che si comporterà diversamente con Rouhani».
Per Trita Parsi, presidente del National Iranian American Council, «questo accordo sarà decisivo per stabilire chi guiderà l’Iran nei prossimi decenni. Se c’è un buon accordo, se le sanzioni saranno rimosse e se questo spingerà l’economia iraniana, allora i moderati potranno portare a casa il risultato».
Rouhani, secondo Parsi, parte avvantaggiato, perché il popolo ha avuto a che fare per otto anni con il presidente conservatore Mohmoud Ahmadinejad «e ora sanno di non volere quella alternativa». Gary G. Sick della Columbia University, ha sottolineato come il governo di Rohani dovrà confrontarsi con le resistenze dei Guardiani della Rivoluzione, che sono «ostili alle relazioni con gli Usa e che hanno avuto grandi benefici dalle sanzioni, che hanno permesso loro di controllare tutti i traffici». Ma, secondo Sick, se le sanzioni saranno effettivamente rimosse, «le aziende straniere torneranno in Iran e il naturale spirito imprenditoriale del paese potrà tornare a esprimersi. Se si vuole un cambio di regime in Iran, nel senso di un cambio del modo in cui opera il regime, questo tipo di accordo è quello che ci vuole».