(Valeria Vacca) – Slum, baraccopoli oppure compound. È così che vengono chiamate le aree periferiche, gli insediamenti problematici e disagiati delle grandi città africane. Chileshe Leonard Mulenga, docente di Economia e Ricerca sociale all’Università di Lusaka, nella ricerca “The case of Lusaka, Zambia” afferma che i due terzi della popolazione della capitale zambiana vive nei compound. Il professore zambiano, per descrivere gli slums, delinea due tipi di insediamenti: primi alloggi fai da te, early self- help cousig, e gli alloggi non autorizzati, unauthorised housing.
I primi alloggi, sorti autonomamente, sono stati una conseguenza dell’emanazione nel 1948 dell’ African Housing Ordinance. Si trattava, secondo Mulenga, di una legge che si proponeva di aiutare i lavoratori africani a basso reddito che non potevano permettersi una casa in città concedendo loro i terreni delle aree periferiche. Fu quindi dato loro il permesso di costruire degli alloggi e scavare delle fosse da adibire a latrine in spazi in cui il servizio dell’acqua potabile aveva l’accesso e uso comune. I lavoratori, versando in condizioni di povertà, costruirono le loro case con materiali economici e non convenzionali.
Gli insediamenti non autorizzati, invece, sorsero accanto alle zone agricole e alle fattorie private situate nella zona periferica di Lusaka. Questi alloggi erano abitati da ex lavoratori africani a cui era scaduto il contratto di lavoro, e che non avevano diritto a nessuna abitazione nella zona urbana, e da quei lavoratori a cui non veniva concesso l’alloggio dal proprio datore di lavoro. Si trattava di insediamenti che venivano chiamati non autorizzati ma che di fatto sorgevano grazie al consenso del proprietario terriero che concedeva un pezzo di terra al lavoratore dove poteva costruire la casa in cambio di un affitto mensile.
Le case, sia dei early self- help cousig che quelle dei unauthorised housing, vennero costruite con lo stesso materiale inadeguato, per esempio mattoni di fango, cartone, lamiera, paglia per il tetto.
La differenza principale tra i due tipi di insediamenti era che in quelli non autorizzati mancavano i servizi municipali come l’acqua potabile, la raccolta dei rifiuti, le scuole, le cliniche, l’elettricità ed erano generalmente più affollati. Con la crescita della popolazione aumentarono i disagi perché la mancanza di servizi rendeva le persone soggette a malattie respiratorie e intestinali e questo significava perdita di posti di lavoro o riduzione del salario.
Dopo l’indipendenza, che lo Zambia ottenne il 24 ottobre 1964, queste aree periferiche diventarono sempre più estese e affollate. Molti proprietari terrieri bianchi lasciarono il paese e questo ha significato per i residenti non dover pagare un affitto e per i lavoratori immigrati in città una preferenza per questo tipo di alloggio.
Nel 1974 l’“Improvement Areas Act” dichiarò le aree sottosviluppate come aree da migliorare: questo le rese automaticamente legali e significò per i residenti poter migliorare gradualmente le proprie case. Questo processo venne chiamato “upgrading” e prevedeva la fornitura di servizi come l’accesso all’acqua, la costruzione di strade e scuole. Il miglioramento delle case era compito dei proprietari che non avevano standard rigidi per la costruzione perché in questo modo i lavori per lo sviluppo edilizio erano per loro accessibili, dato il loro alto livello di povertà. Di fatto, questo approccio cementò la bassa qualità delle abitazioni.
Le prime aree che conobbero un miglioramento grazie all’introduzione di servizi come acqua, scuole e strade furono Chawama e George compound. L’intervento fu realizzato tra il 1975 e il 1982, grazie ai fondi concessi dalla Banca Mondiale e altre organizzazioni.
I compound di Bauleni e di Kamanga furono “upgrated” negli anni ’90, grazie al supporto della Human Settlements of Zambia, un’organizzazione non governativa locale, in collaborazione con il World Food Programme e altre ONG internazionali. Il processo di miglioramento di Bauleni fu innovativo perché l’obiettivo delle agenzie coinvolte era quello dell’empowerment, ossia del “dare potere” agli abitanti del compound, lavorando attraverso la mobilitazione dei residenti per il miglioramento ambientale e delle condizioni di vita.
Nel 1992 il paese venne colpito da una pesante crisi dovuta al fallimento del raccolto del grano e questo spostò l’attenzione del World Food Programme verso questa emergenza nazionale. Quando nel 1996 l’emergenza terminò, gli abitanti di Bauleni non erano più disposti a essere coinvolti nel miglioramento delle strutture della comunità su base volontaria.
Secondo Mulenga, attualmente il 60- 70% della popolazione urbana di Lusaka vive negli slums.
In queste aree l’economia si basa principalmente sul lavoro informale come piccole attività commerciali impegnate nella vendita di frutta e verdura, generi alimentari, ricariche telefoniche. Molti giovani sono coinvolti in attività criminali come furto, spaccio e prostituzione.
I principali problemi negli slums di Lusaka sono ancora rappresentati dalla mancanza di servizi come l’accesso all’acqua potabile, che consentirebbe di prevenire epidemie come il colera, e lo smaltimento dei rifiuti. Inoltre il sovraffollamento nelle case, dove in una o due piccole stanze vivono cinque o sei persone, rende le persone vulnerabili a malattie respiratorie, come la tubercolosi.
L’economista zambiano sostiene che un maggior controllo di queste aree, attraverso la decentralizzazione dei poteri che sono tutt’oggi in mano al Lusaka City Council, permetterebbe di rispondere ai bisogni, difficoltà e preoccupazioni degli abitanti degli slums in modo più efficace.