(Simona Planu) – Sono passati 9 anni ma l’orrore della guerra è ancora lì. Il paese dei Cedri ancora porta i segni della guerra combattuta contro Israele. Il Libano del 2006 è una diapositiva delle cronache di guerra che raccontano la realtà di oggi. Il casus belli, la strategia militare, l’entità della distruzione e delle conseguenze a lungo termine: la caratterizzazione dei conflitti, che a intervalli di tempo piuttosto regolari scuotono i paesi dell’area mediterranea del Vicino Oriente, sembra essersi ormai consolidata.
La seconda guerra israelo-libanese è scoppiata il 12 luglio del 2006. La cattura di due soldati israeliani da parte di Hezbollah è stata la causa scatenante di un conflitto mai risolto, legato a doppio filo alla questione palestinese.
Poco più di un mese è stato sufficiente a devastare il Libano. L’intensità degli attacchi di Israele è stata tale da distruggere una parte considerevole delle infrastrutture civili del Paese. Nulla o poco è stato risparmiato: abitazioni, strade, industrie, impianti di depurazione, aeroporti. La risposta di Hezbollah si è indirizzata verso le città israeliane al confine con il Libano e nella zona del Golan. Secondo i dati diffusi dal governo israeliano sono 44 i civili morti a causa degli attacchi di Hezbollah e 119 soldati.
In Libano è più difficile stabilire la distinzione tra i combattenti di Hezbollah e i civili uccisi. Anche le stime non sono chiare, ma il numero dei morti libanesi è sicuramente superiore ai 1000. A emergere da questi pochi dati è la sproporzione nell’uso della forza, è lo squilibrio tra una forza statale e gruppi di resistenza.
E’ il sobborgo di Dahieh a darci la reale dimensione dei conflitti che, ancora oggi, insanguinano l’area. Quì la distinzione tra civili e militari è sfumata al punto da non garantire il rispetto della tutela internazionale. I gruppi armati di resistenza o gruppi non statali che assumono una qualche forma politica, ma che non vengono riconosciuti pienamente dalla comunità internazionale, si trasformano nell’obiettivo “giusto” che legittima gli attacchi indiscriminati contro interi villaggi o quartieri. Il diritto internazionale umanitario che regola i conflitti perde di valore.
La distinzione tra militari e civili è un cardine del diritto internazionale umanitario e costituisce la base per la proibizione degli attacchi indiscriminati e per la definizione del principio di proporzionalità.
A Dahieh si è parlato di rappresaglia, di un’azione di punizione collettiva dove nessuna precauzione a difesa dei civili è stata presa. Gli obiettivi non sono più militari, sono abitazioni, sono centri culturali e sociali, sono sedi delle Nazioni Unite.
La guerra del 2006 ha però mostrato un altro volto. E’ la capacità dei gruppi non statali di violare la sicurezza degli stati caratterizzati da un forte apparato militare. La guerra che si è scatenata a luglio e agosto del 2006 ha forse segnato un capitolo in cui l’alta forza distruttrice dei conflitti si combina con la forza emotiva suscitata nell’opinione pubblica internazionale. La forza emotiva è, però, a breve termine e la giustizia internazionale non sembra avere alcuna valenza.