Aung San Suu Kyi controlla il Parlamento, eleggerà il presidente


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(Alessandro Ursic) – Ora è confermato: come previsto dal partito già subito dopo le elezioni di domenica, la «Lega nazionale per la democrazia» (Nld) di Aung San Suu Kyi si è assicurata la maggioranza nel nuovo Parlamento birmano, garantendosi così la possibilità di eleggere il prossimo presidente nei primi mesi del 2016. L’ufficializzazione del risultato, giunta oggi dalla Commissione elettorale, apre di fatto il lungo periodo di transizione da qui al nuovo governo, con molte incognite da risolvere in particolare sul ruolo effettivo di «mamma Suu» e quello dell’esercito. L’Nld ha vinto oltre l’80 per cento dei seggi finora assegnati: 238 alla Camera bassa e 126 per cento in quella alta. Il totale di 364 è già ampiamente superiore – e 39 seggi sono ancora da assegnare – alla quota di 329 necessaria per la maggioranza nella seduta bicamerale che tra gennaio e febbraio eleggerà il presidente da un terzetto di candidati: uno a testa nominato dalle due Camere, e un terzo dai militari.

Il capo di stato formerà poi il suo governo, mentre i due candidati sconfitti rimarranno comunque parte dell’esecutivo con l’incarico di vicepresidente. Per il partito di governo uscente, l’Usdp del presidente Thein Sein, la batosta alle urne è ora confermata dai numeri: ha raccolto solo 40 seggi, risultando di fatto ininfluente nel nuovo Parlamento. Va ricordato, però, che un quarto dei seggi in entrambe le Camere è garantito dalla Costituzione all’esercito, tradizionalmente schierato contiguo all’Usdp.

I militari hanno inoltre un sostanziale potere di veto sui cambiamenti alla Costituzione, dato che per emendarla serve il 75 per cento dei voti in Parlamento. Tra i provvedimenti più famigerati della Carta, imposta dall’esercito nel 2008, c’è proprio una norma che preclude a Suu Kyi (70 anni) di diventare presidente in quanto vedova e madre di stranieri. In campagna elettorale, la «Signora» ha provato ripetutamente a creare una base di consenso in Parlamento per stralciare questa disposizione, senza però riuscire nell’intento.

Non è chiaro se il premio Nobel per la Pace abbia intenzione di riaprire la questione ora che ha numeri ben più massicci dalla sua parte. Già alla vigilia del voto, Suu Kyi non ha comunque fatto mistero di considerare quella norma un impedimento che può essere aggirato nei fatti: «Sarò sopra il presidente», aveva dichiarato. E nella prima intervista dopo la vittoria di domenica, ha ribadito il concetto spiegando che il nuovo capo di stato «farà esattamente quello che gli dirà il partito».

Il che, dato che nell’Nld non si fa nulla se non lo decide Suu Kyi, significa in sostanza che «la Signora» – al di là del nome che verrà candidato dal suo partito – si considera già a capo del governo. Per l’icona della dissidenza che esattamente cinque anni fa (il 13 novembre 2010) veniva rilasciata dopo sette anni (su 15 in totale) agli arresti domiciliari, è un risultato impensabile fino a poco tempo fa. È da vedere però come tale piglio decisionista verrà digerito da un esercito che in Birmania è abituato a comandare da oltre mezzo secolo, e che si considera un bastione al di là del quale c’è la disgregazione di un Paese dalle 135 etnie, con alcuni conflitti ancora attivi.

Nel nuovo governo, i militari avranno comunque per legge un’importante voce in capitolo, a partire dalla nomina dei ministri della Difesa, dell’Interno e degli Affari di frontiera; e la Costituzione riserva loro di esautorare qualsiasi governo in caso di «minacce alla sicurezza nazionale». Nonostante la trionfale vittoria, insomma, per Suu Kyi andare allo scontro con l’esercito rischierebbe di provocare nuove tensioni nella transizione della Birmania verso la democrazia.

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