(Raimondo Schiavone) – L’annuncio di una tregua nella Striscia non ferma la crescente pressione internazionale sulla condotta di Israele. Tuttavia, nessuno dei Paesi occidentali che si autodefiniscono “esportatori di democrazia” ha ancora aderito alla causa per genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia.
Dopo mesi di devastazione, a Gaza è stato dichiarato un cessate il fuoco. La notizia è accolta con sollievo da una popolazione ormai stremata, ma resta da capire se la tregua reggerà e quali saranno le condizioni di un eventuale accordo politico più ampio. Sul fronte diplomatico, intanto, cresce la pressione sulla comunità internazionale per il riconoscimento delle responsabilità del conflitto, con sempre più Paesi che stanno prendendo posizione nella battaglia legale avviata dal Sudafrica presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG).
La denuncia presentata dal Sudafrica presso la CIG, basata sulla Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio del 1948, ha trovato il sostegno di diversi Paesi, soprattutto nel Sud globale. Finora, Spagna e Cuba sono gli unici Stati ad aver ufficialmente aderito alla causa, portando il numero di nazioni coinvolte direttamente nel procedimento a tre.
Oltre a questi, Colombia, Messico, Nicaragua, Bolivia, Libia, Maldive, Turchia e Cile hanno espresso pubblicamente il loro appoggio alla denuncia sudafricana, pur senza aver ancora formalizzato la loro adesione. Anche Belgio e Irlanda, in Europa, stanno valutando un eventuale ingresso nel caso, segnalando una possibile crepa nell’unità occidentale sulla questione.
La crescente partecipazione di Stati latinoamericani e africani alla causa contro Israele riflette una frattura sempre più evidente tra il blocco occidentale e il Sud del mondo. Mentre molti Paesi in via di sviluppo chiedono un’applicazione equa del diritto internazionale, Stati Uniti, Regno Unito e gran parte dell’Unione Europea continuano a difendere Israele, sostenendo che le accuse siano “politicamente motivate”.
Nonostante l’adesione di Paesi come Spagna e Cuba alla denuncia contro Israele, nessuno degli Stati occidentali tradizionalmente noti come “esportatori di democrazia” ha ancora preso una posizione simile. Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania, pur esprimendo preoccupazione per la crisi umanitaria in corso, continuano a sostenere Israele, ribadendo il suo diritto all’autodifesa e criticando le accuse di genocidio come “infondate e politicamente motivate”.
L’assenza di adesioni da parte dei principali governi europei e nordamericani solleva interrogativi sull’effettiva applicazione del diritto internazionale. Mentre la Corte dell’Aja è stata spesso invocata in passato per perseguire crimini di guerra in altri scenari, l’approccio selettivo rispetto al conflitto israelo-palestinese sta alimentando un crescente dibattito su doppie misure e ipocrisia nelle relazioni internazionali.
Con l’avvicinarsi delle prossime udienze, gli occhi restano puntati sulla Corte Internazionale di Giustizia. Israele ha già respinto le accuse, affermando che le sue operazioni militari sono dirette contro Hamas e non contro la popolazione civile. Nel frattempo, gli Stati sostenitori della causa sudafricana spingono affinché si acceleri il processo di valutazione delle responsabilità.
Il cessate il fuoco non interromperà il percorso giudiziario, ma potrebbe influenzare la dinamica diplomatica nei prossimi mesi. Se la tregua dovesse tenere, alcuni governi potrebbero rivedere la loro posizione e, forse, nuovi Paesi potrebbero decidere di unirsi alla denuncia.
L’interruzione del conflitto rappresenta un primo spiraglio di tregua per una popolazione colpita da mesi di bombardamenti e crisi umanitaria. Tuttavia, la questione delle responsabilità legali resta aperta, con un numero crescente di Stati che chiedono giustizia per le vittime. La battaglia legale alla CIG sarà un test cruciale non solo per Israele, ma per la credibilità stessa del diritto internazionale e delle istituzioni che lo dovrebbero far rispettare.