(Alessandro Aramu) – Squilla il telefono. E’ il primissimo mattino. Dall’altro capo del filo c’è il mio amico Osama dalla Siria. Sente l’urgenza di raccontarmi una storia. Una storia che definisce “orripilante”. Nelle sue parole traspare rabbia, dispiacere e delusione. Tutto ciò si aggiunge alla grave situazione di un paese lacerato da un conflitto che sembra non trovare una via d’uscita, umiliato da un’informazione che in queste ultime giornate ha ripreso a viaggiare sul binario delle false notizie, delle verità parziali e delle fonti non verificate. Sembra che il sistema mediatico internazionale voglia a tutti costi accreditare come vittime coloro che in realtà da anni vestono i panni dei carnefici grazie al denaro e alle armi che le potenze occidentali e del Golfo riversano con generosità nelle loro tasche. Ma questa storia racconta un’altra brutalità, lontana dalle esplosioni delle bombe e dai brandelli di carne sparsi per terra. Una violenza che colpisce i cittadini siriani, le uniche vere vittime delle sanzioni che la comunità internazionale ha voluto infliggere a un paese che ancora adesso, se chiudi gli occhi, sa di agrumi e di menta.
La storia orripilante è quella di Samir, il cugino di Osama, e arriva direttamente da Latakia, l’importante città portuale che si affaccia sul Mar Mediterraneo. Samir è un ragazzo intelligentissimo, laureato in architettura conosce la grammatica di 14 lingue e parla perfettamente inglese, italiano, spagnolo e francese. Insomma, è “una mente”. Tramite un progetto di cooperazione tra la Siria e l’Argentina, Samir è riuscito ad avere un visto per il paese sudamericano. Non è stato facile mettere i soldi da parte ma grazie ai risparmi e a tanti sacrifici alla fine il giovane è pronto per partire. A causa delle sanzioni, l’acquisto dei biglietti in Siria viene bloccato. Samir non perde d’animo e si è fa prenotare i biglietti da un suo amico in Turchia. Biglietto in tasca, il giovane siriano parte. Arriva al confine Tartous -Tripoli, passa il lato siriano ma le autorità libanesi, senza alcun motivo, lo rimandano indietro. Una sola frase: “Tu qua non entri”.
Samir a quel punto prende un taxi e da quel punto si reca al confine di Masnaa, che si trova sulla strada Damasco-Beirut. Questa volta è più fortunato: l’autorità libanese gli dà un visto. Ma deve correre, deve correre perché il “fottuto” visto è valido solo per 24 ore, una piena violazione di tutte le norme internazionali. Ma qui, in questa parte del mondo, spesso le regole si fanno e si disfano a piacimento di chi le deve imporre.
Samir si reca in aeroporto, va al banco del check-in, sente che ce la può fare, che finalmente può prendere quell’aereo per l’Argentina. Ma la sentenza è inappellabile: gli dicono che non può partire perché il volo deve fare scalo a Madrid, deve cambiare compagnia aerea e uscire dalla zona internazionale dell’aeroporto. A quel punto gli servirebbe un “Visto di transito Schengen” per la Spagna che, ovviamente, non ha. Soldi, fatica, speranze, sogni buttati al vento. Samir ritorna a Latakia. E’ un’altra vittima di questa guerra, una vittima bianca delle sanzioni imposte dalla comunità internazionale. Samir, come tanti altri ragazzi uccisi non solo dai terroristi ma anche dalla politica degli Stati che quei terroristi li hanno supportati e finanziati.
Osama si sfoga e manifesta tutta la sua ira per una storia di cui ancora adesso non si capacita: “Il Libano è l’unico paese dove i cittadini siriani possono accedere in modo regolare. Ora il Paese dei Cedri li costringe a chiedere un permesso di ingresso e concede loro di stare soltanto un giorno. Solo un giorno, hai capito? Non puoi fare niente in sole 24 ore, niente. E come fai a rischiare un sacco di soldi per prenotare dei voli dalla Siria, quando poi devi recarti per forza a Beirut per prendere l’aereo ma le autorità Libanesi non ti fanno entrare neanche se fai vedere i biglietti? Caro Ale, ci stanno uccidendo. Ci stanno uccidendo tutti. Dei siriani non importa niente a nessuno. Ecco che cosa fanno le sanzioni: ci uccidono”.
Non faccio in tempo a rispondere che Osama ha già chiuso la telefonata. Silenzio. Un silenzio assordante nella mia testa. Mi sento responsabile come cittadino italiano ed europeo di questo scempio, di cui si parla sempre troppo poco. E penso a quanti siriani vorrebbero venire in Italia, in modo regolare, anche solo per trascorrere un periodo di tempo limitato per studiare, specializzarsi e acquisire nuove conoscenze. Sono tanti e non possono per via delle ingiuste sanzioni e della rigidità delle autorità libanesi spostarsi dalla Siria e rischiare di trovarsi nella stessa condizione di Samir. Samir, il ragazzo che aveva un aereo per l’Argentina e non l’ha potuto prendere. E con quel volo, sono volati via anche i suoi sogni.
Alessandro Aramu – Giornalista professionista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). Per il quotidiano La Stampa ha pubblicato il reportage “All’ombra del muro di Porta di Fatima”, mostrando per la prima volta in Italia la nuova barriera che ha diviso il Libano da Israele. È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013), Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014) con la prefazione di Alberto Negri. E’ autore e curatore del volume Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio – Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti (2015), con Gian Micalessin e Anna Mazzone. Autore, insieme a Carlo Licheri, del docu -film “Storie di Migrantes” (2016), vincitore del premio speciale del pubblico all’ottava edizione dello Skepto International Film Festival. E’ Presidente del Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria, responsabile delle relazioni internazionali del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo Onlus, Vice Presidente del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo della Sardegna.