(Valerio di Fonzo – Il Globo) – Oggi molti tra le fila della sinistra italiana faticano ad ammettere che il popolo palestinese è la vittima di questo lungo conflitto. Fanno fatica a denunciare i crimini di Israele, crimini di cui si macchia indisturbato ormai da troppo tempo. Molti preferiscono voltare la testa e parlare di Hamas, come se Hamas fosse l’origine del tutto. Muoiono bambini? E’ Hamas! Distruggono case e scuole? E’ colpa di Hamas. Hamas! Hamas! Hamas! Ma Hamas non esisteva vent’anni fa, eppure Israele agiva nello stesso modo.
Risale al 1982 il famoso massacro di Sabra e Shatila nel quale le forze armate israeliane guidate da Ariel Sharon furono responsabili della morte di più 2400 arabi – palestinesi. La scusa era sempre la stessa: difendere il popolo israeliano dal terrorismo. Hamas ancora non esisteva, e il terrorismo questa volta era quello di Yasser Arafat.
In quel periodo la posizione della sinistra italiana era chiara: equidistanza dai crimini di Israele e dal terrorismo, ma netto sostegno alla lotta di liberazione del popolo palestinese. Né sono testimonianza, ad esempio, le posizioni del Presidente della Repubblica Sandro Pertini e quella del Presidente del Consiglio Bettino Craxi. Il primo, infatti, nel suo messaggio di fine anno agli italiani, nel 1983 usava parole che non lasciavano spazio a fraintendimenti:
“Una volta furono gli ebrei a conoscere la “diaspora“[…]vennero cacciati dal Medio oriente e dispersi nel mondo; adesso lo sono invece i palestinesi…Io affermo ancora una volta che i palestinesi hanno diritto sacrosanto ad una patria ed a una terra come l’hanno avuta gli israeliti…Se vi sono nazioni in cui i diritti civili ed umani sono conculcati, sono annullati, non vi è che un provvedimento da prendere contro queste nazioni: l’espulsione dall’Onu. Non valgono le proteste, se le porta via il vento. Non valgono le polemiche. Siano espulse dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Sia dato loro il bando, siano indicate all’umanità come colpevoli.”
“Io sono stato nel Libano. Ho visitato i cimiteri di Chatila e Sabra. E una cosa che angoscia vedere questo cimitero dove sono sepolte le vittime di quel massacro orrendo. Il responsabile di quel massacro orrendo è ancora al governo in Israele. E quasi va baldanzoso di questo massacro fatto. E un responsabile cui dovrebbe essere dato il bando della società.” (In basso il video del suo discorso.)
Ma come spesso capita, la storia si prende beffa dei più deboli. Sharon verrà infatti eletto presidente dello stato israeliano, e quindi diventerà lui rappresentante del processo di pace tra Israele e Palestina dal 2001 al 2006. Ma questa volta sarà il presidente americano George W. Bush a garantire: “Sharon è uomo di pace”. E se lo garantisce lui, che è un altro uomo di pace, allora come si fa a non crederci!
E ancora, il presidente del consiglio Bettino Craxi, riconoscendo i diritti dei palestinesi e degli israeliani, nel ricordare il ruolo di pace dell’Italia nel mediterraneo, legittimava la lotta armata del popolo palestinese e chiedeva con fermezza a Israele la restituzione dei territori occupati.
“Quando Israele fu minacciata tutti fummo con Israele. Ora essa occupa da 18 anni territori arabi che vanno restituiti in cambio della pace.[…] Contestare ad un movimento che voglia liberare il proprio paese da un’occupazione straniera la legittimità del ricorso alle armi significa andare contro alle leggi della storia.” Qui il video del suo discorso:
Se non di Hamas, se non del terrorismo, di chi è la colpa allora? Non è forse di chi punta i riflettori sul conflitto israelo — palestinese solo se qualcuno si fa saltare in aria? Non è forse di chi si sdegna solo quando partono i razzi? Siamo amici degli ebrei, siamo amici di Israele. Non ci può essere nessun dubbio sul suo diritto di esistere, e mai c’è stato nessun dubbio in merito da parte dello stato italiano. Ma dov’è lo stato dei palestinesi? Ma qual è la posizione della sinistra italiana oggi? Qual è la posizione del governo italiano? Qual è il ruolo dell’Europa? “Non valgono le proteste, se le porta via il vento”, avrebbe detto il Presidente Pertini.
Molti vedendo questi video vecchi ormai più di trent’anni obbietteranno dicendo, con arroganza, superficialità e presunzione, che il contesto era diverso, salvo poi non riuscire a specificare cosa lo rendesse diverso. Molti sosterranno che prima non esisteva Hamas; ma non era l’OLP di Arafat considerata un’organizzazione terroristica alla pari di Hamas? Cos’era, dunque a rendere diverso il contesto? Forse Israele non occupava illegalmente i territori palestinesi? Niente di tutto questo. La drammatica verità è che il contesto era sempre lo stesso. L’unica differenza risiedeva semplicemente nell’onestà e autonomia intellettuale dei leader italiani, nella fattispecie, Pertini e Craxi. Autonomia e onestà intellettuale che si traducevano in indipendenza dell’Italia nella valutazione delle controversie internazionali.
Oggi invece, dopo quasi tre settimana dall’ennesimo massacro di civili palestinesi per mano delle forze militari israeliane, la sinistra italiana latita. Non una posizione chiara, non una posizione. Molti continuano a credere nella buona fede delle azioni di Israele, e a voltare la testa dall’altra parte di fronte alle foto delle case distrutte, e dei bambini uccisi. O peggio continuano a imputare al terrorismo palestinese l’origine della tragedia. Continuare a parlare di Hamas fa comodo, perché così si evita di parlare della lotta legittima del popolo palestinese. Noi italiani ed europei, che crediamo in tale legittimità e che crediamo nel diritto di Israele ad esistere e vivere in sicurezza, non possiamo limitarci a proclami sterili. L’Italia e l’Europa dovrebbero avere un ruolo più attivo nel mediterraneo. Un ruolo determinante.
Nonostante la continua propaganda che dipinge Israele come la vittima e il popolo palestinese come il carnefice di se stesso, qualcosa sta cambiando nell’opinione pubblica a livello globale. La disponibilità della nuova tecnologia e la diffusione dei social networks hanno controbilanciato un’informazione sempre molto incline ad appoggiare la propaganda israeliana. La giornalistaRula Jebral nella sua intervista alla MSNBC il 22 luglio ha affermato come l’informazione di questo conflitto sia “disgustosamente di parte nei confronti di Israele”, e che “la CNN abbia intervistato 17 pubblici ufficiali israeliani contro solo un’ ufficiale palestinese.” I social networks in ogni modo sono riusciti ad infrangere questo muro di faziosità e mostrare all’opinione pubblica mondiale il dolore e le difficoltà del popolo palestinese così come la mancanza di umanità e proporzionalità dell’esercito israeliano. E in molti oggi non credono più nella buona fede di Israele.
Non crede alla buona fede di Israele, l’alta commissaria dell’Onu per i diritti umani Navi Pillay, che condanna apertamente le azioni sproporzionate dell’esercito israeliano chiedendo l’apertura di un’inchiesta internazionale per accertare gli eventuali crimini contro l’umanità, attirandosi le ulteriori antipatie del ministro degli esteri israeliano Avigdor Liberman che definisce le Nazioni Unite come il “Consiglio in difesa dei diritti dei terroristi”.
Un’affermazione quest’ultima che s’inquadra in una lunga campagna di delegittimazione e inosservanza delle istituzioni internazionale da parte dello stato d’Israele. Si delegittimano le istituzioni internazionali e si spera nella mediazione degli Stati Uniti. Ma, ripresentando le parole di Marcella Emiliani, tra le massime esperte italiane e internazionali di Africa e Medio-Oriente: “fino ad oggi la presidenza Obama non c’è riuscita e spesso ha mascherato le proprie difficoltà con l’ostico governo Netanyahu, lamentando le divisioni in campo palestinese. Non appena però i palestinesi sembrano aver ritrovato la propria unità, tanto negli Stati Uniti quanto in Israele il coro è unanime: con un governo sostenuto da Hamas non si tratta. Bene. Ma cosa significa allora per Washington e Gerusalemme «l’unità dei palestinesi»? Al-Fatah con chi dovrebbe ritrovare un’intesa se non con Hamas? E soprattutto cosa hanno fatto Washington e Gerusalemme per rafforzare Abu Mazen, cioè̀ il palestinese che ha rinunciato al terrorismo come metodo di lotta politica fin dal 1993?”
Non credono nemmeno più nella buona fede di Israele i 50 riservisti israeliani che si sono rifiutati di servire il proprio paese, dichiarando quanto segue:
“I residenti palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza sono privati dei diritti civili e dei diritti umani. Vivono in un sistema giuridico diverso dai loro vicini ebrei. Lì, abbiamo scoperto che l’intero esercito aiuta a implementare l’oppressione dei palestinesi.”
Non crede più nella buona fede di Israele una parte del suo stesso popolo ebraico esterno e interno allo stato. Il consenso dall’esterno di molti ebrei alle azioni militari del governo israeliano si è andato via via erodendo in tutto il mondo e in special modo negli Stati Uniti. Anche in Italia è possibile rintracciare tale erosione per esempio nelle parole di Moni Ovadia che sin dallo scorso anno affermava:
“Lascio la Comunità ebraica di Milano, fa propaganda a Israele” ( 5 Novembre 2013).
L’opposizione interna, invece, si può individuare non solo nella reazione dei militari di non servire più il proprio paese, ma anche nelle opere di giornalisti come Gideon Levy, che sulle pagine del quotidiano più importante d’Israele, l’ Haaretz scrive:
“Dopo che abbiamo detto tutto ciò che c’è da dire sul conto di Hamas – che è integralista, che è crudele, che non riconosce Israele, che spara sui civili, che nasconde munizioni dentro le scuole e gli ospedali, che non ha fatto niente per proteggere la popolazione di Gaza – dopo che è stato detto tutto questo, dovremmo fermarci un attimo e ascoltare Hamas. Potrebbe perfino esserci consentito metterci nei suoi panni e forse addirittura apprezzare l’audacia e la capacità di resistenza di questo nostro acerrimo nemico, in circostanze durissime.
Invece Israele preferisce tapparsi le orecchie davanti alle richieste della controparte, anche quando queste richieste sono giuste e corrispondono agli interessi sul lungo periodo di Israele stesso.” (Haaretz”, domenica 20 Luglio 2014)
Non hanno più creduto alla buona fede d’Israele gli storici israeliani tra i quali si possono annoverare Simha Flapan, Benny Morris, Avi Shlaim, Ilan Pappé, e Tom Segev, che grazie all’apertura degli archivi di Stato israeliani, di quelli del movimento sionista e non ultimi degli archivi di Stati Uniti e Gran Bretagna, sebbene divisi al loro interno sull’esistenza esplicita di un piano articolato di epurazione etnica noto col nome di “Piano D”, hanno ammesso che nella congiuntura della guerra del 1948 e soprattutto nella sua fase finale, quand’era ormai evidente che Israele aveva vinto e quanto gli interessava era soprattutto consolidare i nuovi confini acquisiti che allargavano la superficie assegnata agli ebrei dal piano di spartizione Onu, venne lasciata mano libera ai generali israeliani di “liberare” le aree acquisite dalla popolazione autoctona. Questa nuova versione, suffragata da fonti d’archivio, ribalta completamente il rapporto Israele-profughi e non ha mancato, come tutta la nuova storiografia, di creare dibattiti molto aspri e accesi tra gli intellettuali, i politici e la stessa società israeliana.
Non credono alla buona fede di Israele Cile, Peru, Ecuador e Brasile, che hanno deciso di richiamare i loro ambasciatori in segno di protesta contro le azioni militari in Gaza.
Sono, dunque sempre meno quelli che credono nella buona fede di Israele. Come regola generale dovrebbe valere che chi non è in grado di giudicare i propri peccati o quelli dei suoi amici, dovrebbe astenersi dal giudicare quelli dei suoi nemici. E risulta ormai ovvio che il diritto di critica non equivale all’antisemitismo, su cui comunque bisogna sempre vigilare.
E chi crede ancora in queste folli azioni militari? Soltanto Stati Uniti ed Europa. Soltanto loro hanno il coraggio di chiamare terrorismo i razzi sparati in zone abitate da civili, ma legittima difesa le bombe che distruggono case, scuole, e ospedali ammazzando nell’80% dei casi donne e bambini. Perché continuiamo a credere che questa reazione sia giusta? Gli Stati Uniti hanno sempre difeso queste azioni per la forte pressione interna delle lobbies come l’American Israel Public Affairs Committee. Ma l’Italia? e l’Europa? Possibile che ci sentiamo in dovere di essere moralmente in debito sempre con tutti, lasciando che questo debito morale ci impedisca di valutare la situazione in maniera limpida? Ma poi, si tratta solo di un debito morale o c’è dell’altro? Quando arriverà il momento per l’Europa di mettere in pratica i valori sui quali è fondata, e proporsi come forza di pace nel mediterraneo e nel mondo? Non è dato a sapersi.
Quello che si sa è che nel futuro di questo conflitto pesano ancora molte incognite. Il rischio è che passerà anche questo massacro, si spengeranno lentamente i riflettori, e nel silenzio generale il grido di dolore dei palestinesi si trasformerà nuovamente in razzi. Le televisioni magicamente si riaccenderanno per incolpare i terroristi di turno. Israele avrà agito ancora per diritto di difesa. E i palestinesi avranno perso un paio di militanti e qualche altro centinaio di donne e di bambini.
“Non valgono le proteste, se le porta via il vento”, avrebbe esclamato il Presidente Pertini.
Valerio di Fonzo – Fondatore, editore, e autore de IlGlobo.eu e Globalopolis.org. Si laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna, discutendo una tesi sulla teologia della liberazione, le sue origini e i suoi effetti in Brasile, Argentina, e Nicaragua. Negli Stati Uniti consegue il Master in Public Administration presso l’Università del New Mexico.
Fonte: il Globo