Con la caduta di Bashar al-Assad e l’ascesa al potere del gruppo Hayat Tahrir al Sham (HTS), guidato da Ahmed al Sharaa, alias Abu Mohammed al-Jolani, il panorama siriano sta affrontando una trasformazione radicale che rischia di compromettere ulteriormente i diritti delle donne. Malgrado i crimini e le ripetute violazione dei diritti umani di cui si è reso colpevole il precedente governo, la Siria ha mantenuto le caratteristiche di uno stato pienamente laico, in cui le donne hanno potuto scalare i gradini più alti delle professioni e delle istituzioni. Oggi, invece, si assiste a segnali sempre più preoccupanti di islamizzazione, che minano la già fragile posizione femminile nella società.
Le promesse di Ahmed al Sharaa all’indomani della presa della capitale Damasco sembrano essere state tradite. Anche se ha fatto scalpore in alcuni ambienti occidentali, la fotografia del leader del gruppo Hayat Tahrir al-Sham immortalato con una donna completamente velata al suo fianco non stupisce in alcun modo. Anzi, è la conferma di quanto è stato visto e raccontato in oltre 12 anni di guerra. Quella immagine rappresenta la condizione in cui fino a oggi sono vissute le donne sotto il dominio dei gruppi jihadisti di cui è espressione proprio l’attuale guida politica della Siria. Quell’immagine è un simbolo inquietante della regressione sociale e politica del paese che sta intraprendendo il pericoloso cammino di uno stato confessionale dominato dalla legge islamica più rigida.
I segnali sono preoccupanti e il silenzio colpevole della comunità internazionale rischia di trasformare la Siria in una sorta di Emirato Islamico nel Mediterraneo a cui verrà concesso non solo il privilegio della cancellazione delle sanzioni ma anche il beneficio di togliere ai propri leader la patente di terroristi, per aver militato prima nell’ISIS e poi in Al Qaeda (è il caso di Ahmed al Sharaa). Nulla di nuovo, anche questo schema è la riproposizione esatta di ciò che abbiamo visto, ad esempio, in Afghanistan con i talebani.
La progressiva islamizzazione
La nomina di sheikh Mohammed a capo del sistema giudiziario di Aleppo ha sollevato numerose critiche, essendo stato già responsabile dell’applicazione rigida della sharia a Idlib. Tra le prime misure, si segnala l’esclusione di avvocate e magistrate dai tribunali, unita all’imposizione del velo islamico per le impiegate pubbliche. La separazione tra uomini e donne negli spazi pubblici, le preghiere obbligatorie nei luoghi di lavoro e la crescente pressione sociale verso un abbigliamento conforme ai precetti islamici evidenziano un quadro di involuzione dei diritti civili.
Secondo Human Rights Watch, l’applicazione della sharia nelle aree controllate da HTS ha imposto restrizioni drastiche, con l’imposizione dell’hijab non solo alle residenti, ma anche alle visitatrici. Il rapporto sottolinea come queste pratiche stiano diventando il nuovo standard nelle regioni amministrate dal governo di transizione.
Le donne cristiane non sono esentate da queste restrizioni: ai posti di blocco, viene chiesto loro di indossare il velo. Questa misura, ufficialmente “suggerita”, diventa di fatto obbligatoria, segnalando una coercizione crescente anche verso le minoranze religiose. Alcuni gruppi, come Open Doors, denunciano anche un aumento delle violenze contro le donne cristiane, spesso vittime di conversioni forzate e matrimoni imposti con membri delle milizie.
Il nuovo codice penale e la sharia
Il nuovo governo pro-tempore ha introdotto un codice penale che prevede pene estremamente severe, tra cui la lapidazione per adulterio. Episodi verificati da fonti come VeSyria documentano pubblicamente l’esecuzione di donne accusate di reati morali, come dimostrano i video girati a Hafsarja e Ma’arit Misrin. Nonostante le dichiarazioni del ministro della Giustizia Shadi al-Waisi sulla presunta moderazione delle nuove politiche, la realtà mostra continuità con pratiche estreme, già adottate a Idlib durante l’amministrazione locale di HTS.
Un’indagine condotta da Amnesty International rivela che l’applicazione della sharia nelle aree controllate da HTS non solo limita le libertà delle donne, ma rafforza una cultura di impunità per la violenza di genere. La lapidazione e altre forme di punizione pubblica vengono giustificate come strumenti per mantenere l’ordine sociale.
Un micro-Stato islamico
Idlib, già roccaforte di HTS, rappresenta il modello di riferimento per il nuovo governo. La provincia è stata gestita per anni come un emirato islamico, dove la legge coranica regolava ogni aspetto della vita quotidiana. Malgrado le dichiarazioni di Jolani sulla creazione di uno stato “tollerante”, i fatti evidenziano una deriva confessionale che limita drasticamente il ruolo delle donne nella società e nella politica.
Secondo il Syrian Observatory for Human Rights (SOHR), nelle aree controllate da HTS, le donne hanno perso l’accesso a molte attività pubbliche, tra cui l’istruzione superiore e il lavoro in settori chiave. I dati raccolti dal SOHR indicano che il tasso di abbandono scolastico femminile è aumentato del 40% dal 2017, con molte famiglie costrette a ritirare le figlie dalle scuole per evitare molestie o punizioni.
Il governo di transizione è interamente composto da uomini, mentre le donne, un tempo attive nelle organizzazioni della società civile, sono state progressivamente escluse da ruoli di leadership. Anche la presenza femminile nei ministeri è limitata a poche impiegate, per lo più retaggio del vecchio sistema.
Proteste e resistenza
Nonostante il contesto oppressivo, vi sono segni di resistenza. A Damasco, pochi giorni dopo la caduta del regime di Assad, centinaia di persone sono scese in piazza per chiedere uno stato laico e la parità di genere. “Non esiste una nazione libera senza donne libere”, si leggeva sui cartelli. Questi gesti di protesta sottolineano il desiderio di una parte della popolazione di preservare i principi di uguaglianza e libertà, in aperto contrasto con la visione confessionale del nuovo governo.
Organizzazioni internazionali come UN Women stanno cercando di portare aiuti e sostenere iniziative locali per la promozione dei diritti delle donne. Tuttavia, l’accesso a queste regioni rimane estremamente limitato, complicando ulteriormente gli sforzi di advocacy.
Il futuro delle donne in Siria appare sempre più incerto. L’applicazione della sharia e le politiche restrittive di HTS stanno smantellando i diritti faticosamente acquisiti nel passato. Mentre il mondo osserva le mosse del nuovo governo in attesa di segni di moderazione, il rischio è che la Siria scivoli verso un sistema di oppressione sistematica delle donne, con conseguenze devastanti per l’intera società. La comunità internazionale deve mantenere alta l’attenzione e promuovere azioni concrete per garantire che i diritti umani, soprattutto quelli delle donne, non vengano ulteriormente calpestati.