(Raimondo Schiavone) – Nella bozza del decreto crescita del Governo, che in questi giorni ha cominciato a circolare, può essere evidenziata una serie di interventi sicuramente positivi, tesi alla razionalizzazione della spesa pubblica ed al recupero di risorse. Azioni finalizzate alla semplificazione burocratica ed amministrativa, che dovrebbero fungere da acceleratore della spesa. Ed anche una serie di interventi in favore delle zone interne e dei piccoli Comuni. Un riconoscimento forte alla capacità di spesa degli enti locali che va favorita ed accelerata.
La nota dolente, ma che era nell’aria dopo le disposizioni di apertura della spesa approvate dalla Commissione europea, è prima di tutto la costatazione lampante che le Regioni del Sud Italia sono in forte ritardo sulla spesa dei fondi europei. Ma questo è un dato noto e già commentato in più contesti. Dall’analisi dei dati esposti dal documento emerge, infatti, che dei 38.050 miliardi di euro di risorse FESR e FSE che risultano non spese – anche se da tale importo vanno detratte le risorse già impegnate -, circa 15,5 miliardi si riferiscono a Regioni del Sud Italia ed in particolare: Campania, Basilicata, Sardegna, Sicilia, Calabria e Puglia. Parliamo ovviamente della programmazione comunitaria 2014-2020 con spesa certificata al 31 dicembre 2019. Se questo dato poi fosse depurato dalle partite PON, il dato sarebbe ben più eclatante e supererebbe di gran lunga il 50% del totale. Diciamo che questi elementi, se non noti, erano tuttavia presumibili, stante la storica inefficienza di queste Regioni in merito alla spesa delle risorse europee.
Nella Bozza di decreto si evince – questo al fine di favorire la spesa e soprattutto di indirizzarla verso politiche tese a intervenire sull’emergenza Covid-19 – che “il Ministro per il sud ha richiesto alle Regioni e alle Amministrazioni centrali di destinare una quota pari al 20% delle risorse dei loro Piani operativi alle priorità dell’emergenza COVID-19. Con tale quota si potrebbe realizzare una riprogrammazione generale di circa 6,7 miliardi di euro a valere sul FESR e di 3,3 miliardi sul FSE, di cui rispettivamente circa 5 e 2,1 miliardi a valere sui Programmi Operativi regionali”.
Ma il documento mette in evidenza, se approvato certifica, un sostanziale spostamento di risorse dal Sud in favore delle Regioni del Nord. Circostanza, peraltro, non nuova, in quanto già accaduta durante la crisi del 2009-2010 quando furono sottratti, con un provvedimento che non fece clamore, 25 miliardi destinati ad investimenti pubblici nel Mezzogiorno, per finanziare la ricostruzione post terremoto in Abruzzo. Risorse che non furono mai restituite e mai riprogrammate in favore del Sud Italia.
Questa volta nella bozza di decreto si sostiene che “il FSC verrebbe riprogrammato per liberare risorse aggiuntive per la spesa legata all’emergenza e alla programmazione di interventi in funzione anticrisi. In questo contesto particolare, si ipotizza di assegnare alle Regioni del Centro-Nord una dotazione aggiuntiva di risorse FSC del ciclo 2014-2020. Le regioni meridionali, in conseguenza di questo eventuale maggior contributo all’emergenza Coronavirus saranno compensate con risorse FSC del nuovo ciclo di programmazione 2021-27, da prevedersi nel prossimo Documento di Economia e Finanza e da definire nell’ambito della Legge di Bilancio 2021”.
Ovviamente è proprio qui che sta la “fregatura” per le regioni del Sud. Infatti, anche trascurando il precedente storico nel quale la restituzione non avvenne, vi è anche un elemento di carattere tecnico. Invero è ben noto, e questo dovrebbero saperlo gli amministratori delle Regioni del Sud, che delle risorse della programmazione FSC 2021-27 non vi è nessuna certezza, né per quanto attiene alla quantità, né per l’allocazione territoriale.
Un’analisi oggettiva dei fatti dimostra che le Regioni del Sud non spendono, pertanto è giustificato il prelievo da quelle risorse in un momento drammatico come questo, nel quale non vi è certezza sulle nuove allocazioni europee ma, soprattutto, le risorse nazionali non sono adeguate per sostenere una crisi che tutti descrivono come tragica e pericolosissima per la nostra economia.
Ma stante l’indifendibilità della classe politica e burocratica del meridione è anche vero che per l’ennesima volta le risorse destinate al Sud ed al suo rilancio infrastrutturale e tecnologico vengono scippate e ridistribuite in un contesto più ampio. Soprattutto prendono una direzione verso quel Nord che spesso ha recriminato d’essere maggior contribuente fiscale del Paese e ha richiesto una autonomia differenziata molto spinta che consenta di trattenere nei rispettivi territori una quota cospicua del cosiddetto “residuo fiscale”.
Con la crisi in corso il rischio che si corre è l’incremento del già diffuso egoismo territoriale, non solo in Italia. Tali politiche hanno un orizzonte di breve periodo e prospettive di cortissimo respiro. Una regione non cresce se “si tiene i suoi soldi” ma cresce, come è noto agli studiosi di economia, se è inserita in una più ampia comunità nazionale ed europea. Nella quale, grazie a profondi legami di interdipendenza, la crescita di ogni parte favorisce quella delle altre.
Tutto ciò dovrebbe aprire una nuova riflessione sulla solidarietà nazionale ed europea, l’importante che si chiarisca una volta per tutte che le “donazioni di sangue” non possono sempre essere a senso unico. Ciò vale per il Nord Italia, ma anche per il Nord Europa, proprio ora che siamo alle porte del Consiglio europeo del 23 aprile che dovrà formalizzare l’indirizzo politico sui nuovi strumenti finanziari anti-Covid a livello comunitario. Nella speranza che lo spirito solidaristico prevalga sugli egoismi.