(Federica Cannas) – L’America di Donald Trump è tornata. E con lei il solito copione di azioni unilaterali, sanzioni a raffica e una politica estera che segue un’unica bussola: l’interesse degli Stati Uniti e dei suoi alleati, in particolare Israele. L’ultima mossa dell’ex presidente, che ha firmato un ordine esecutivo per sanzionare la Corte Penale Internazionale (CPI), è solo l’ennesimo atto di una strategia che ormai non sorprende più nessuno: punire chiunque osi mettere in discussione l’impunità degli Stati Uniti e dei loro alleati, mentre il resto del mondo deve sottostare al diritto internazionale.
La decisione di Trump di sanzionare i funzionari della CPI arriva dopo che il tribunale ha emesso mandati di arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, accusati di crimini di guerra per le operazioni nella Striscia di Gaza. Ma il problema, per Trump, non è che la CPI persegua chi commette crimini di guerra. Il problema è che questi crimini vengano contestati quando a compierli sono Israele o gli Stati Uniti.
Non è la prima volta che Trump attacca la CPI. Già nel 2020, durante il suo primo mandato, aveva imposto sanzioni alla procuratrice Fatou Bensouda, colpevole di aver indagato sui crimini di guerra commessi dalle truppe americane in Afghanistan. Adesso, nel 2025, la storia si ripete. La CPI tocca Israele? Allora diventa “un’organizzazione illegittima e politicamente motivata”. E Trump, senza battere ciglio, firma un ordine esecutivo per punire i magistrati internazionali.
L’incoerenza di questa politica è talmente evidente da non richiedere troppe spiegazioni. Se la CPI indaga su Putin, Assad o Maduro, allora è un tribunale giusto, difensore dei diritti umani. Se la stessa CPI prova a portare avanti indagini contro crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti o da Israele, allora diventa un tribunale politicizzato da screditare e punire.
È il gioco delle due pesi e due misure, quello per cui le vittime contano solo se sono le “giuste vittime”. Quello per cui le risoluzioni delle Nazioni Unite valgono solo se condannano gli avversari di Washington, ma diventano “irragionevoli” o “inapplicabili” se riguardano i suoi alleati.
Non importa che in Gaza si stia consumando una tragedia umanitaria senza precedenti, con migliaia di civili uccisi, bombardamenti indiscriminati e intere città rase al suolo. Non importa che i crimini di guerra siano documentati da organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International. Non importa che il diritto internazionale esista per tutti, senza eccezioni.
L’unica cosa che conta, per Trump e i suoi alleati, è garantire che Israele non debba mai rispondere delle sue azioni, a prescindere dalla gravità delle accuse.
L’aspetto più inquietante di questa strategia non è solo l’ipocrisia, ma anche la sua spietata efficienza. Ogni volta che un’istituzione internazionale osa mettere in discussione gli Stati Uniti o Israele, la risposta di Washington è immediata: sanzioni, intimidazioni, ritorsioni diplomatiche.
Questa politica si basa su un concetto molto chiaro. Il diritto internazionale intralcia gli interessi americani, allora va messo da parte. Non c’è alcun rispetto per i principi di equità e giustizia. C’è solo la legge del più forte, la convinzione che gli Stati Uniti e i loro alleati possano muoversi impunemente sulla scena mondiale senza mai dover rendere conto delle proprie azioni.
L’Unione Europea ha già espresso preoccupazione per le sanzioni contro la CPI, così come diverse organizzazioni per i diritti umani, che hanno definito la mossa di Trump un pericoloso attacco alla giustizia globale.
La realtà è che il mondo sta cambiando, e il vecchio ordine basato sulla totale impunità americana non è più così scontato. Sempre più Paesi stanno cercando di rafforzare le istituzioni internazionali, perché sanno che solo un sistema di regole condivise può garantire un minimo di stabilità e giustizia.
Ma finché leader come Trump continueranno a sabotare questi sforzi, il messaggio sarà sempre lo stesso. La giustizia vale solo per chi è abbastanza debole da non potersi difendere con la forza. Per gli altri, esistono solo i rapporti di potere.
E questa, più di ogni altra cosa, è la vera condanna dell’ipocrisia occidentale.