Vanno male le cose per l’Egitto. Per questa ragione il suo presidente, Abdel Fatah al Sisi, ha annunciato un nuovo rimpasto di governo. Il secondo in poco meno di un anno. L’ultimo è stato lo scorso marzo. Allora il generale aveva deciso di fare una sorta di repulisti generale, cambiando ben dieci ministri, alcuni dei quali (Finanze, Turismo e Investimenti) ritenuti decisivi per risollevare le sorti di un’economia sempre più in crisi. Pesano, in particolare, gli effetti della svalutazione della moneta e il conseguente aumento del tasso di inflazione.
Malgrado l’agenzia Fitch abbia confermato il rating ‘B’ con outlook stabile sul credito a lungo termine in valuta locale e straniera e la Banca Africana per lo Sviluppo (Afbd) abbia deciso di concedere al paese un finanziamento di 500 milioni di dollari, l’Egitto continua a soffrire gli effetti negativi delle politiche economiche messe in campo dal Presidente. Riforme dettate, in particolare, dalle istituzioni internazionali che sostengono il percorso di ripresa del Paese. I piani economici del governo hanno avuto pesanti ripercussioni sulla vita dei cittadini, in particolari delle classi più povere che costituiscono circa il 30% di tutta la popolazione.
Da quando al Sisi è salito al potere, il Governo ha aumentato i prezzi di benzina e gas per le fabbriche di circa il 50%, incrementato il prezzo di vendita della benzina da 1000 a 1500 sterline alla tonnellata, così come il prezzo di vendita del gas naturale locale alle fabbriche del cemento, e a quelle dei laterizi, da 4 a 6 dollari per ciascun milione di unità. Aumenti (tra il 20% e il 30%) anche per i medicinali, allo scopo di sostenere le imprese dei farmaci colpite dalla crisi del dollaro. In crescita anche l’imposta del valore aggiunto, passata dal 13% al 14%, con il conseguente aumento dei beni alimentari. Una situazione che mette a rischio la stabilità del paese, con il malcontento popolare che cresce giorno dopo giorno.
Dal suo canto al Sisi critica i “media non professionali” che diffondono “frustrazione” tra i cittadini. Una risposta alla cattiva informazione è arrivata nei giorni scorso quando è stata lanciata nel paese una nuova rete televisiva, “Dmc”, facente capo alle forze armate. Sempre a dicembre il presidente ha ratificato una nuova legge, approvata dal parlamento, che prevede la creazione di un Consiglio Supremo per la supervisione dei media, un organismo che può interrompere o sospendere pubblicazioni e trasmissioni e revocare permessi agli organi di stampa stranieri per esigenze legate alla sicurezza nazionale. Secondo alcuni si tratta di una limitazione della libertà di stampa. Il governo smentisce e afferma che si tratta di una misura necessaria per combattere il terrorismo e garantire sicurezza nel paese.
Intanto, la Banca centrale egiziana (Cbe) ha annunciato che le riserve in valuta estera dell’Egitto hanno raggiunto a dicembre scorso i 24 miliardi di dollari, pari ad un incremento del 4,1 per cento. A novembre le riserve di valuta estera erano cresciute del 17,4 per cento rispetto a ottobre, raggiungendo i 23,058 miliardi di dollari.
L’incremento delle riserve è legato alla decisione presa lo scorso 2 novembre 2016 dalla Banca centrale di rinunciare al regime di cambio fisso sul dollaro e svalutare la sterlina egiziana. A partire dal 2011, a causa delle rivolte e dei timori legati al terrorismo, le riserve di valuta estera sono progressivamente diminuite, costringendo il 2 novembre la Banca centrale a rendere flessibile il tasso di cambio. Secondo dati forniti dall’istituto, a partire dal 2 novembre scorso la Cbe ha immesso liquidità sul mercato pari a 3 miliardi di dollari.
Lo scorso 11 novembre 2016 la Banca centrale egiziana (Bce) ha confermato inoltre di aver ricevuto la prima tranche, pari a 2,75 miliardi di dollari, del prestito approvato precedentemente dal Consiglio d’amministrazione del Fondo monetario internazionale. Il piano globale dell’Fmi prevede un prestito di 12 miliardi di dollari in tre anni all’Egitto, al fine di sostenere le riforme economiche e consentire al paese di uscire dall’attuale crisi economica. L’approvazione della quota restante del prestito dipende dall’andamento economico del paese e dall’attuazione delle riforme richieste.
Sul fronte internazionale, con il ritorno della Russia in Medio Oriente, l’Egitto si è schierato apertamente con il presidente siriano Bashar al Assad, in una sorta di alleanza strategica contro il terrorismo e il radicalismo islamico. Una chiara presa di distanza dal suo predecessore, Mohamed Morsi, leader di quei Fratelli Musulmani che avevano alimentato la guerra contro Damasco al fianco di Turchia e Qatar. Gli equilibri regionali sono stati oramai stravolti: la Turchia, indebolita dal golpe e dal terrorismo, non chiede più le dimissioni di Assad e lavora in Siria per una transizione politica garantita dalla Russia.
Il Qatar, invece, è sempre più marginale nelle scelte politiche dell’area, schiacciato dal peso della vicina Arabia Sudita e indebolito da pesanti responsabilità derivanti dal sostegno dato ai gruppi jihadisti in Siria. Per tale ragione, al Sisi ha riallineato la sua politica estera su nuove posizioni, anche con la vicina Libia, dove appoggia il premier Abdullah al-Thani, fedele all’«uomo forte» di Bengasi, il generale Khalifa Haftar, in contrapposizione al governo di Tripoli, guidato da Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj e sostenuto dall’Occidente, Italia in testa. Infine, i rapporti con l’Arabia Saudita, di nuovo gelidi dopo una prima fase di riavvicinamento. Niente è perduto e la ricerca di un terreno comune e del compromesso è in atto, anche grazie alla mediazione degli Emirati Arabi Uniti.
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