(Federica Cannas) – Ci sono ferite che non si chiudono mai davvero. Ferite che diventano parte di un popolo, come una cicatrice che si estende attraverso generazioni. In America Latina, il passato dittatoriale non è un semplice capitolo da archiviare, ma un fiume carsico che riaffiora ogni volta che si prova a costruire il futuro. Argentina, Cile, Brasile e Colombia sono tra i Paesi che portano addosso i segni più profondi di decenni di violenza, repressione e silenzio. Ma sono anche quelli che hanno saputo trasformare, più degli altri, il dolore in azione e la memoria in resistenza.
In Argentina, il fantasma della dittatura militare (1976-1983) vive nei volti di 30.000 desaparecidos. Un’intera generazione di giovani cancellata dal regime. Eppure, è nelle piazze che questo dolore trova la sua voce. Le Madres de Plaza de Mayo, con i loro fazzoletti bianchi annodati sul capo, originariamente ricavati dai pannolini in tela dei figli scomparsi, rappresentano molto più di una protesta: sono custodi della memoria e continuatrici dell’impegno politico dei propri figli. Hanno trasformato il dolore in una lotta incessante per la verità, incarnando la speranza e la determinazione di chi non si arrende all’oblio. Attraverso il loro coraggio, hanno dato nuova vita agli ideali per cui i loro figli avevano lottato.
Le Abuelas, con il loro instancabile impegno nel cercare i nipoti strappati alle madri naturali durante la dittatura non conducono semplicemente una battaglia familiare, ma compiono un atto d’amore universale. Ogni nipote ritrovato è una vittoria dell’amore, una prova che la verità, anche quando tarda, arriva sempre.
La legge sui crimini contro l’umanità ha permesso di processare molti dei responsabili, trasformando i tribunali in teatri di memoria collettiva. Eppure, la giustizia formale non basta. La memoria vive anche nei piccoli gesti: nei nomi delle vittime scolpiti sui muri, nei nipoti ritrovati grazie ai test del DNA, nei racconti che nascono dalle voci dei sopravvissuti. E vive anche nell’escrache.
L’escrache argentino non non trova una traduzione diretta in italiano, ma potrebbe essere avvicinato all’idea di uno “smascheramento”. Si tratta di una pratica che consiste in un’azione di denuncia pubblica organizzata da gruppi di attivisti per svelare l’identità e il passato di individui responsabili di crimini durante la dittatura, ma protetti dall’impunità legale.
Queste manifestazioni si svolgono davanti alle abitazioni, ai luoghi di lavoro o nei quartieri in cui vivono questi criminali, trasformando gli spazi pubblici in una piattaforma di memoria e giustizia. Con cartelli, striscioni, cori e performance simboliche, gli attivisti informano i vicini e la comunità sul ruolo che queste persone hanno avuto nei crimini del passato, smarcandole dall’anonimato e rendendo impossibile per loro vivere nell’indifferenza.
Non è un atto di violenza, ma un gesto collettivo di memoria attiva, che ribadisce che l’oblio non è un’opzione e che la società ha il diritto di sapere e ricordare. L’escrache, in questo senso, è una forma di giustizia morale e sociale, che riafferma il potere della verità di fronte al silenzio.
L’Argentina insegna che ricordare non è un atto passivo: è un atto politico.
In Cile, il nome di Augusto Pinochet evoca un tempo di silenzi imposti e urla soffocate. Il colpo di Stato dell’11 settembre 1973 non ha solo abbattuto il governo democratico di Salvador Allende, ma ha gettato il paese in una spirale di terrore durata 17 anni.
La Commissione Rettig e la successiva Commissione Valech hanno portato alla luce migliaia di casi di torture e sparizioni forzate, ma il processo di riconciliazione è stato lento e spesso controverso. Gli archivi della dittatura restano, in gran parte, sigillati. Tuttavia, i musei della memoria, come quello a Santiago, raccontano una storia che non può essere ignorata. Sono luoghi che gridano Nunca màs, mai più.
Eppure, il Cile si trova ancora a un bivio. Le generazioni più giovani, protagoniste delle proteste del 2019, chiedono una memoria che non sia solo commemorazione, ma trasformazione. Cambiare il presente per onorare il passato: questa è la loro lotta.
Il Brasile, sotto la dittatura militare (1964-1985), ha vissuto un regime altrettanto brutale, ma ha scelto una strada diversa. La Legge sull’amnistia del 1979 ha garantito l’impunità per i crimini commessi, seppellendo la verità sotto strati di oblio. Solo con la Commissione nazionale della verità, istituita nel 2011, il paese ha iniziato a confrontarsi con il proprio passato.
Ma il processo di riconciliazione rimane fragile. Le élite che hanno sostenuto il regime militare continuano a esercitare il loro potere, e il dibattito pubblico sul passato è spesso polarizzato. Tuttavia, il Brasile offre un insegnamento prezioso: la memoria non è mai univoca. È frammentata, contestata, e proprio per questo, fondamentale.
La Colombia non ha vissuto una dittatura classica, ma decenni di conflitto armato hanno lasciato un’eredità altrettanto devastante. L’accordo di pace del 2016 con le FARC ha aperto una nuova fase, con l’istituzione della Commissione per la verità e del Sistema di giustizia transizionale.
Qui, la memoria è profondamente legata alla terra. Le comunità indigene e afrocolombiane, spesso le più colpite dal conflitto, portano avanti processi di memoria che intrecciano la spiritualità con la ricerca della verità. Il loro messaggio è chiaro: riconciliare non significa dimenticare. Significa costruire un futuro in cui la violenza non sia più l’unico linguaggio possibile.
In Argentina, Cile, Brasile e Colombia, il passato non è un’ombra immobile. È un fiume in movimento, che scava il presente e modella il futuro. La memoria, in questi Paesi, non è solo un esercizio di ricordo, ma una resistenza attiva contro l’oblio e l’ingiustizia. È un monito che attraversa generazioni.
La riconciliazione non è un punto di arrivo, ma un processo che richiede coraggio, ascolto e la volontà di costruire una società in cui la dignità umana non sia negoziabile. I popoli latinoamericani dimostrano che ricordare è un atto politico, trasformativo, necessario. Perché il passato, se ignorato, non si cancella: si ripete. Solo affrontandolo con onestà e impegno si può sperare in un futuro più giusto e umano.