Finalmente escono allo scoperto i veri interessi sulla Siria


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(Raimondo Schiavone) – Dopo oltre un decennio di conflitto, centinaia di migliaia di vittime e milioni di sfollati, i veri interessi dietro la guerra in Siria iniziano a emergere in modo sempre più chiaro. Le recenti dichiarazioni dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha elogiato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per il “controllo della Siria” ottenuto attraverso i gruppi ribelli islamici, gettano nuova luce sulle dinamiche geopolitiche e sugli intrecci di potere che hanno alimentato il conflitto siriano.

Trump, in un’apparizione pubblica accanto al premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha affermato di poter mediare tra Israele e Turchia, due attori regionali che si contendono l’influenza sul futuro della Siria. Ma è la sua frase su Erdogan a far rumore: “Mi sono congratulato con lui per aver fatto ciò che nessuno ha fatto in 2000 anni: prendere il controllo della Siria”. Un’affermazione che, di fatto, accredita l’idea che il sostegno ai ribelli islamici non sia stato soltanto una mossa tattica, ma parte di una strategia più ampia per disegnare nuovi equilibri regionali, ben oltre il destino del regime di Bashar al-Assad.

Parole che confermano ciò che molti analisti sospettavano da tempo: la Siria non è mai stata solo il teatro di una guerra civile o di una rivolta popolare. È stata, e continua a essere, la posta in gioco in una partita di potere tra Stati Uniti, Turchia, Israele, Russia e Iran. Dietro la retorica della democrazia e della liberazione del popolo siriano, si nascondono obiettivi ben più concreti: controllo del territorio, influenza sulle rotte energetiche, gestione dei flussi migratori, contenimento dei rivali strategici.

Almeno prima, sotto l’influenza iraniana e russa, la Siria era un paese integro e laico. Damasco garantiva la coesistenza tra cristiani, sunniti, alawiti, drusi, sciiti e curdi, e lo Stato manteneva un’identità nazionale che non si piegava all’integralismo religioso. Oggi invece ci ritroviamo davanti a un Paese frammentato, diviso in zone d’influenza, dove le varie fazioni religiose si combattono e si isolano. In molte aree, il potere è passato nelle mani di milizie islamiste radicali, spesso sostenute o tollerate da potenze esterne per motivi di convenienza geopolitica.

Quello che si presenta oggi non è più uno Stato, ma un mosaico disordinato di enclavi, signorie armate e zone sotto protettorato straniero. Il sogno di una Siria sovrana e multiconfessionale si è frantumato contro il muro degli interessi internazionali e dei fanatismi locali, con l’Occidente spettatore e spesso complice.

Con il passare degli anni, le maschere stanno cadendo. L’intervento turco nel nord della Siria, la presenza militare americana nell’est del Paese, il ruolo delle milizie sciite sponsorizzate dall’Iran, la protezione russa del regime di Assad: ogni mossa si incastra in un mosaico in cui la sofferenza dei siriani sembra essere stata solo una pedina sacrificabile.

Ora che Trump svela apertamente ciò che fino a ieri si diceva solo nei corridoi del potere, la domanda è una sola: cosa rimane davvero della Siria? Un Paese svuotato, ricostruito a immagine e somiglianza degli interessi esterni. E, forse, la storia di questo conflitto sarà ricordata non tanto per la sua brutalità, quanto per la sua crudele chiarezza.


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