(Alessia Lai) – Cooperanti o no? A chi o a cosa prestavano la loro opera le due italiane rapite in Siria pochi giorni fa? Difficile dirlo, soprattutto vista l’età delle ragazze, così giovani da far rima con inesperte. E probabilmente con ingenue. E’ ben noto che l’instabilità nel nord siriano non rende sicuro alcun genere di operazione umanitaria, che viene portata, se si vuole essere d’aiuto ai siriani e da qualunque parte si sia schierati, nei campi profughi sparsi tra Giordania, Libano e Turchia. Ma pare che la Turchia per le due “cooperanti” sia stata solo il passaggio per entrare nella Siria in cui sventola la bandiera dietro la quale si erano fatte fotografare insieme a Milano, quella dei “ribelli siriani”, quella nella quale il rosso viene sostituito dal verde dell’Islam.
Fascinazione? Confusione? Sicuramente pessimi mentori, come il personaggio alla guida della loro associazione, e pessimi compagni di viaggio, come il giornalista Daniele Raineri, aduso alle frequentazioni con le frange più estreme del ribellismo salafita, autore di dubbi scoop sulle presunte bombe del cattivo Assad. Solo che il reporter, dopo essere stato presumibilmente il gancio delle due per arrivare ai “capoccia” della zona controllata dagli islamisti, è sano e salvo dopo essere riuscito, non si sa come, a sfuggire alla banda che invece ha prelevato e portato chissà dove le due improvvide attiviste.
Sì, attiviste. Perché la cooperazione è cosa ben diversa da quello che sembra essere più “turismo di guerra” che volontariato disinteressato. Non possiamo pretendere – purtroppo – che la questione siriana possa essere valutata prescindendo dalle partigianerie e che i troppi disinformati continuino a farsi condizionare da altrettanti avventurieri spesso ignoranti, quando non palesemente in malafede. Dopotutto sappiamo bene che, da giornalisti, è stato per lungo tempo praticamente impossibile vendere una notizia o un servizio che non dipingesse le forze regolari siriane come belve assetate di sangue e i ribelli come animati da spirito libertario e democratico.
Ancora oggi gli estremisti continuano a essere dipinti come una parte del variegato mondo ribelle siriano, in realtà ne sono oramai la grandissima maggioranza, spesso e volentieri frammentata e in lotta al suo stesso interno per “banali” questioni economiche legate al controllo del territorio. Questo anche e soprattutto grazie al lavoro di giornalisti che fin dal principio della crisi siriana hanno preso acriticamente la parte degli oppositori al governo, alimentando una rivolta in larga parte inizialmente inesistente e raccontando in anticipo una guerra arrivata solo dopo, rendendo quello siriano un conflitto mediatico prima che guerreggiato.
Ce ne sono tanti di questi venditori di notizie “un tanto al chilo”, inutile fare i nomi, basta andarsi a vedere i reportage che negli ultimi anni hanno infarcito quotidiani e riviste del mainstream. Quella stessa informazione alla quale le due giovani italiane si sono certamente abbeverate prima di buttarsi anima e corpo nel sostegno alla causa dei ribelli siriani. Prima di diventare attiviste prestate alla causa islamista, ma senza nemmeno la dignità, per i loro sequestratori, delle donne islamiche che arrivano in Siria a sostenere uomini guerrieri, come invece accade da tempo per numerose ragazze britanniche.
E’ dei primi di luglio la notizia, data da The Mirror, della fuga in Siria di due sorelle di Manchester. Le due, gemelle sedicenni, si sono imbarcate per un volo verso la Turchia per poi fare l’abituale percorso di chi entra illegalmente in Siria. Secondo il Mirror le ragazze sono partite dopo che il loro fratello maggiore, che si ritiene sia un combattente dell’Isis, vi si era recato in precedenza. La polizia si è chiesta come le ragazze siano potute riuscire a pagarsi biglietti aerei e viaggio, e la risposta più preoccupante è che siano state finanziate proprio dai ribelli islamici.
Solo pochi giorni prima della fuga, il governo di Londra aveva fornito le cifre ufficiali dell’”esodo islamista britannico”: almeno 500 estremisti con passaporto del Regno Unito sarebbero partiti di recente verso la Siria. Tra i musulmani britannici che si trovano oggi in Siria e in Iraq al fianco del gruppo terrorista dell’Isis, una figura ha recentemente destato particolare attenzione nel Paese. Si tratta di una ventenne che, tramite i suoi account Twitter e Facebook a nome di Muhajirah fi Sham (che significa “immigrata in Siria”), pubblica le foto del suo bambino con un AK-47 e ha descritto con meraviglia e compiacimento l’esecuzione di un giovane presunto stupratore nella città siriana dove vive con il marito combattente, invitando i musulmani londinesi a raggiungere il paese “dove è messa in pratica la legge di Allah”.
L’Evening Standard ha scoperto la sua identità e ha tracciato in un articolo, pochi giorni fa, la sua storia, quella di una normale ragazza figlia di immigrati nella zona sud-est di Londra convertitasi all’Islam durante l’adolescenza. Una fonte del quotidiano, amico della giovane, ha descritto il cambiamento come possibile conseguenza dello stile di vita all’interno della comunità musulmana britannica, che porterebbe le donne musulmane a pensare che gli uomini in Gran Bretagna siano piuttosto deboli e forse i veri uomini sono altrove e combattono. “Penso che fosse la sua motivazione, trovare veri uomini all’estero, sposare uno all’estero. Questo è quello che ho sentito (…) ha cercato un uomo vero, un uomo che può proteggerla, un uomo di combattimento.”
La giovanissima età accomuna queste ragazze islamiche alle volontarie italiane sequestrate e forse non è un caso. I vent’anni sono quelli delle scelte che più che coraggiose risultano incoscienti, delle fascinazioni per adulti che mostrano una strada a volte sbagliata. La Siria in mano agli islamisti è la terra in cui si stanno incrociando cattivi maestri e giovani illusioni.