“Freeze and Seize”: chi beneficerebbe dell’uso dei fondi russi per l’Ucraina?


0 Condivisioni

(BRUNO SCAPINI) – Che l’Ucraina sia in difficoltà in questo momento sul piano militare è noto. Non da meno, per contro, lo è l’Europa, ma su quello finanziario. La prospettiva di una guerra ancora lunga e distruttiva indurrebbe, infatti, ora gli attori occidentali a sperimentare, per battere la Russia sul campo, altre forme di investimento bellico oltre a quelle tradizionali usate finora a carico dei bilanci nazionali. L’idea, pertanto, già apparsa fin dal 2022, di ricorrere ai fondi finanziari della Russia – depositati presso le banche europee e americane, e “congelati” nel quadro del regime sanzionatorio imposto a Mosca – sembrerebbe conoscere oggi un certo “revival”.  Lo dimostrerebbe il fatto che l’utilizzo di questi “asset”, sia direttamente come capitali, sia indirettamente quali proventi dai depositi bancari, è stato uno dei temi prioritari alla tornata di incontri tenutisi a Washington la scorsa settimana in seno al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, i due colossi dominanti la finanza globale e notoriamente eterodiretti dagli Stati Uniti.

L’Occidente, infatti, avvertendo tutto il peso di un prolungamento del conflitto, penserebbe di ricorrere a questi fondi, per ora “congelati”, per confiscarli in qualche modo e utilizzarli sia per continuare a finanziare lo sforzo bellico di Kiev, sia in vista della ricostruzione del Paese.  Trattasi di circa 300 miliardi di Euro, distribuiti in parte in Europa, per i due terzi, e per un terzo negli Stati Uniti, che comprendono sia fondi privati, sia sovrani della Russia. Proprio in questa prospettiva, già l’Alto Rappresentante dell’UE, Josep Borrell, in sintonia con la Commissione, aveva predisposto, fin dallo scorso mese di febbraio, un piano per utilizzare il 90% dei proventi dal loro deposito (leggi pure: interessi) onde finanziare lo European Peace Facility.  Uno strumento eufemisticamente concepito da Bruxelles per promuovere la pace, ma che in realtà dovrebbe, nella previsione dei suoi ideatori, aiutare militarmente l’Ucraina.

Ebbene, proprio sul tema, apparentemente chiaro e lineare, soprattutto nella mente dei più bellicisti degli esponenti politici, si è invece aperto un dibattito sulla opportunità di ricorrere a tali fondi. Un dibattito che ancora una volta sta evidenziando l’interesse di Washington a spingere l’Europa sempre più in prima linea nel confronto con la Federazione Russa. Un atteggiamento emerso proprio dalle più recenti riunioni presso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, in cui gli Stati Uniti hanno adottato una posizione decisamente favorevole acché siano i Paesi europei a fare uso proprio di questi fondi, in quanto più direttamente interessati (quali soggetti di “prima linea di difesa”) da una vittoria russa che implicherebbe per loro gravissime conseguenze, soprattutto sul piano della sicurezza continentale. Ma, seppure realistica nelle sue estreme implicazioni, una tal tesi non sarebbe tuttavia priva di gravissime pregiudiziali.  Il sistema del “freeze and seize” (congela e confisca), propugnato dagli Stati Uniti per l’Europa – e dal quale però loro si asterrebbero almeno per ora – rischierebbe di esporre le capitali europee, e non Washington, alle inevitabili reazioni della Russia. Infatti, l’uso arbitrario di fondi stranieri, soprattutto se sovrani, ovvero appartenenti ad uno Stato, violerebbe apertamente l’ordine giuridico internazionale configurandosi come un vero e proprio illecito, con la conseguenza che, per i fondi sovrani Mosca verrebbe indotta a reagire sul piano finanziario in termini di ritorsioni, mentre, quanto a quelli privati, si darebbe la stura ad una serie di contenziosi con cause giudiziarie di portata imprevedibile.

Proprio in considerazione delle gravi ricadute che un simile approccio alla questione comporterebbe, da parte della Banca Centrale Europea si starebbe ora delineando una posizione contraria a quella proposta dagli USA. La consapevolezza, non solo degli ostacoli di natura giuridica, ma anche, e soprattutto, delle ripercussioni in termini di stabilità per l’ordine finanziario europeo avrebbe indotto i vertici della BCE a guardare con estremo sospetto all’arma della confisca. La certezza di ritorsioni, da un lato, e, dall’altro, la perdita di credibilità e di fiducia che deriverebbe per l’Euro e per lo stesso sistema finanziario europeo – con slittamento degli investimenti verso altre aree del globo più garantiste – sembrerebbero altrettanti elementi ostativi all’adozione di una proposta suggerita sì da Washington, ma quanto mai sconsiderata per gli esiti che avrebbe. Peraltro, gli Stati Uniti già ebbero occasione in passato di procedere in tal modo. Lo fecero nel 2022, quando ritennero di confiscare ben 7 miliardi di dollari della Banca centrale afghana a titolo di compensazione per i danni causati dal terrorismo. Ma in quel caso, a giustificare l’iniziativa, si adduceva che gli Stati Uniti erano stati parte diretta del conflitto. Uno scenario, quindi, ben diverso da quello ucraino, in cui i Paesi europei, sebbene non coinvolti direttamente nella guerra, vengono però fatti oggetto di insistenti pressioni da Washington per l’uso degli “asset” russi.  D’altra parte, a rischiare con la politica del “freeze and seize” sarebbero ancora una volta gli europei, e non gli americani!

0 Condivisioni