
(Raimondo Schiavone) – Mentre Gaza brucia e il popolo palestinese sopravvive tra rovine e carestia, un movimento storico torna a far sentire la sua voce con forza: il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Con un appello alla mobilitazione globale, il Fronte ha promosso una Giornata mondiale della rabbia e della disobbedienza civile contro l’occupazione israeliana e il sostegno internazionale al conflitto in corso.
Ma oltre alla mobilitazione, ciò che emerge è una nuova centralità del FPLP come alternativa politica, ideologica e strategica a Hamas, il gruppo islamista oggi al centro della resistenza armata nella Striscia di Gaza, ma anche responsabile – secondo molte analisi interne e internazionali – di una gestione autoritaria, confessionale e fallimentare del territorio.
Fondato nel 1967 da George Habash, il Fronte Popolare nasce come espressione del marxismo arabo, unendo alla causa nazionale palestinese una visione socialista e laica del futuro. “Liberazione della Palestina” non come solo recupero del territorio, ma come trasformazione radicale dell’ordine sociale e politico, contro ogni forma di colonialismo e ingiustizia. Laicità che significa inclusione, convivenza tra confessioni, lotta alla strumentalizzazione religiosa del conflitto: un messaggio rivoluzionario, soprattutto oggi, in uno scenario dominato dalla polarizzazione tra islamismo politico e repressione militare.
Il FPLP è stato la seconda forza dell’OLP, dopo Fatah, ed è noto per le sue posizioni intransigenti e la fermezza nel rifiutare compromessi considerati deleteri. Non ha mai accettato né gli Accordi di Oslo né l’impianto istituzionale della cosiddetta Autorità Nazionale Palestinese, accusata di collaborazionismo e inefficacia.
In un momento in cui Hamas è indebolita internamente e isolata diplomaticamente, il FPLP rappresenta oggi una voce alternativa e credibile, in grado di parlare tanto ai settori laici e progressisti della società palestinese, quanto alla diaspora e al mondo arabo. La sua struttura militare, pur ridimensionata rispetto al passato, continua ad essere attiva; ma è sul piano politico, sociale e simbolico che il Fronte sta riconquistando spazio.
Con un linguaggio che richiama la lotta di liberazione e la solidarietà internazionalista, il FPLP si presenta come forza unificante, capace di aggregare anche chi non si riconosce nel fondamentalismo islamico o nella paralisi dell’ANP. Il suo messaggio è chiaro: nessuna liberazione sarà reale se non sarà anche sociale, culturale, laica e fondata sull’uguaglianza tra uomini e donne, tra credenti e non credenti.
La proposta del Fronte non è solo locale. L’appello a università, sindacati, comunità arabe all’estero, attivisti europei e americani mira a costruire una nuova Internazionale della solidarietà con il popolo palestinese. La lotta per Gaza diventa così simbolo di una resistenza globale contro i sistemi di dominio e sfruttamento.
L’adesione di diverse città europee e latinoamericane alla mobilitazione di oggi conferma che il linguaggio politico del FPLP – centrato su giustizia, diritti, dignità – riesce a parlare anche fuori dal mondo arabo, in modo più efficace e meno divisivo rispetto a quello di Hamas.
Il futuro della causa palestinese potrebbe passare anche da qui: dal ritorno di una sinistra rivoluzionaria radicata nel territorio e capace di connettersi con i movimenti globali, senza rinunciare alla lotta ma senza farsi imprigionare da logiche settarie o autoritarie.
In un tempo di disillusione e caos, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina prova a rilanciarsi come coscienza critica e forza organizzata, con l’ambizione di guidare, più che seguire, il destino del proprio popolo.