(Paola Di Lullo) – Hamas, primo partito alle elezioni politiche del 2006, non è riuscito a governare a causa degli ostacoli di natura finanziaria e politica, posti lungo il cammino del suo governo. All’epoca, la comunità internazionale e il Quartetto per il Medio Oriente (Russia, Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite) avevano chiesto ad Hamas il riconoscimento di Israele e la rinuncia a qualsiasi azione violenta. Nel 2007, in seguito alle continue provocazioni da parte di un particolare organismo dell’ANP, le forze di sicurezza guidate da Mohammed Dahlan, uomo di Fatah a Gaza, Hamas ha preso il controllo del territorio con la forza, uccidendo decine di membri di Fatah, e usando ogni arma possibile per destituire gli organismi dell’ANP e assumere un controllo totale sulla Striscia di Gaza. Dahlan, che prima della guerra civile tra Fatah e Hamas nel 2007, guidava i servizi di sicurezza dell’Autorità palestinese (Anp) nella Striscia, è stato accusato pubblicamente dal presidente palestinese Abu Mazen per la cattiva gestione di circa 17 milioni di dollari e per il suo presunto coinvolgimento nella morte di Yasser Arafat.
Recentemente un tribunale di Ramallah, incaricato di indagare sul caso di corruzione che ha visto coinvolto l’ex uomo forte di Fatah a Gaza ha stabilito il non luogo a procedere a causa di irregolarità legate alla sospensione dell’immunità parlamentare, decisa nel 2012 da un decreto presidenziale e non dal parlamento palestinese. Con l’esacerbarsi delle violenze, la Lega Araba, l’Egitto, la Giordania e l’Arabia Saudita cercarono una mediazione per evitare la catastrofe. Gli esponenti di Fatah, Hamas e delle altre forze politiche palestinesi si riunirono più volte, al Cairo e in altre città arabe. Prima del 2007, le varie fazioni palestinesi avevano sottoscritto due accordi, finalizzati a una gestione condivisa del potere e alla riforma dell’OLP. Purtroppo il più importante, il cosiddetto “Accordo della Mecca”, fu disatteso dopo meno di un mese: Hamas e Fatah fecero capire chiaramente che non erano intenzionati a condividere il potere. In effetti, Hamas si era reso conto che gli USA e l’UE cercavano di scavalcarlo, nonostante la vittoria elettorale: inviavano fondi direttamente al Presidente Mahmoud Abbas; offrivano sostegno alle forze speciali guidate dallo stesso Dahlan; e, cosa ancora più importante, esercitavano una notevole pressione, inasprendo le condizioni dell’assedio e fomentando la comunità internazionale, riuscendo anche a mobilitare una larga fetta dell’opinione pubblica palestinese contro il Movimento Islamico.
Il punto è che Hamas, nonostante il blocco totale imposto da Israele sulla Striscia dal 2007, inaccessibile via mare, terra e cielo, non ha intenzione di compromettere il consenso di cui gode ormai solo presso i suoi fedelissimi, dopo i gravissimi errori nella gestione della Striscia e l’insostenibile situazione umanitaria, causata da previsioni errate compiute negli ultimi otto anni. Nonostante la lunga serie di incontri e gli accordi siglati, è chiaro che tra le due parti (Hamas e Fatah) permane una sostanziale diffidenza, che non si limita a questioni formali, ma che ha radici più profonde. La tensione nella Striscia preoccupa Hamas, isolato nell’enclave costiera.
L’allontanamento dall’asse sciita è stato il primo grave errore compiuto dalla leadership islamista, che ha rotto l’alleanza con la Siria, e di conseguenza con Hezbollah e l’Iran, per puntare ai legami con la Fratellanza Musulmana nel resto del mondo arabo. Ma con il crollo dei Fratelli Musulmani e il colpo di Stato al Cairo, che ha deposto l’islamista Morsi, Hamas si è ritrovata sola, senza soldi e un concreto appoggio politico. La crisi in corso è ben visibile a Gaza, dove il movimento tenta di rafforzare i controlli di una zona che gestisce con sempre minore forza. La conseguenza è la crescita di movimenti e gruppi islamisti radicali, alcuni che si richiamano all’Isis, altri che si definiscono salafiti, e che potrebbero destabilizzare ulteriormente una Striscia al collasso, dopo la violenta operazione militare israeliana della scorsa estate. Eppure Hamas preferisce negare: “L’Isis – ha detto il portavoce del Ministero degli Interni, Iyad al-Bozom –non è presente a Gaza. Le notizie pubblicate da alcuni media non sono vere”. Molti reports hanno recentemente messo in luce che Hamas mira a creare uno stato indipendente e sovrano a Gaza.
In realtà, nessuno dubita che Hamas abbia ancora una presa potente sulla Striscia di Gaza, ma deve affrontare una crisi crescente. Hamas controlla ancora la Striscia di Gaza ed è al potere. Questo stato di cose non cambierà fino a quando il governo palestinese di recente formazione non funzionerà per tutti i palestinesi e continuerà a recarsi a Gaza in “visita turistica”. La popolazione di Gaza accusa l’attuale governo di operare discriminazioni tra i dipendenti. Si continua a non pagare gli stipendi al personale assunto dal governo di Hamas, la qual cosa è in contraddizione con gli accordi sottoscritti tra le due fazioni. Tuttavia, sembrerebbe che queste dichiarazioni siano state rese per spronare il governo di Rami Hamdallah a lavorare per tutti i Palestinesi, ad avviare il processo di ricostruzione dopo la guerra a Gaza nel 2014 ed a terminare il processo di integrazione tra i dipendenti di Fatah e Hamas.
Oltre a ciò, sarebbe in corso una profonda frattura tra l’ala politica e il braccio armato, le Brigate Qassam. Mentre i primi, tra cui Khaled Meshaal, Mousa Abu Marzouk, Ismail Haniyeh ed altri, alla ricerca di una soluzione, che consenta loro di uscire dall’isolamento nella regione, sarebbero propensi ad accettare una coalizione, sunnita, guidata dall’Arabia Saudita, e comprendete anche Egitto e Turchia (La Mecca 2), il leader della Brigate Qassam, Mohammed Deif, sarebbe propenso a un riavvicinamento con l’Iran. Non solo: l’ala politica opterebbe ad un lungo periodo di “cessate il fuoco” con Israele, le Brigate Qassam sarebbero pronte ad un nuovo conflitto con Israele. Si inserisce in quest’ottica l’incoraggiamento di un ruolo saudita negli affari palestinesi. Hamas spera non solo per ottenere il sostegno del regno per porre fine all’assedio di Gaza e la scissione con Fatah, ma anche per ripristinare i rapporti con l’Egitto. Quando Hamas ha rifiutato di dare il proprio sostegno al regime siriano di fronte la rivoluzione popolare, il sostegno finanziario dall’Iran si è arrestata, alla fine del 2011. Ismail al-Ashqar, capo del comitato di sicurezza in seno al Consiglio Legislativo Palestinese, ha detto ad Al-Monitor, “Hamas vuole un nuovo accordo della Mecca che coinvolga tutte le fazioni palestinesi”. A tale scopo è arrivato anche il tacito, ma non troppo, supporto di Hamas all’aggressione saudita contro lo Yemen.
La dichiarazione del movimento islamico, invocava all’auto-determinazione del popolo yemenita, opponendosi a qualsiasi azione che possa mettere la sicurezza e l’indipendenza dello Yemen a rischio. La dichiarazione accuratamente formulata si colloca nel bel mezzo dell’aggressione saudita guidato il gruppo ribelle Houthi, o Ansarullah, insorto contro il presidente Abedrabbo Mansour Hadi. Hamas ha detto di sostenere la “legittimità politica” nello Yemen e la sua “unità, la sicurezza e l’indipendenza.” La dichiarazione era un evidente sostegno alla campagna di bombardamenti dell’Arabia Saudita contro lo Yemen. E mentre Hamas cerca la SUA soluzione ai tanti problemi della Striscia, l’esercito israeliano ha svolto varie attività in Gaze Strip, durante tutta la giornata di lunedì. Aerei da combattimento hanno effettuato giri di prova nel nord dell’ enclave costiera, mentre bulldozer militari sono entrati in al-Shujaiyeh, scortati dall’esercito, sparando, occasionalmente, ed i soldati di frontiera hanno sparato sui contadini a est di Khan Younis.
Le forze israeliane hanno ripetutamente fatto incursioni nella Striscia di Gaza e ha aperto il fuoco contro gli abitanti di Gaza dopo l’accordo di cessate il fuoco firmato 26 agosto 2014 che ha messo fine ad una devastante aggressione di 51 giorni di Israele contro la Striscia. Gli attacchi arrivano nonostante le promesse di Israele di alleggerire le restrizioni di accesso palestinese sia al mare che alla buffer zone.