(Federica Cannas) – La politica estera di Donald Trump ha sempre suscitato dibattiti e divisioni, ma l’ultima decisione annunciata dal presidente statunitense lascia spazio a preoccupazioni profonde e interrogativi inquietanti. Con un annuncio che ha scosso la comunità internazionale, Trump ha dichiarato che la Striscia di Gaza sarà inabitabile per almeno 10-15 anni e che gli Stati Uniti “prenderanno il controllo” del territorio, smantellandolo completamente per trasformarlo in una destinazione turistica globale.
Questa proposta, che appare surreale, se non cinica, prevede di demolire e ricostruire un’area devastata dai conflitti, ignorando completamente i diritti e la volontà della popolazione palestinese che vi risiede da generazioni. Ancora più sconcertante è l’idea che milioni di persone vengano trasferite altrove, in quello che somiglia a un progetto di dislocazione forzata di massa, senza alcuna base legale o consenso da parte degli Stati coinvolti.
Questa decisione non solo contraddice decenni di diplomazia internazionale, che ha sempre cercato, con difficoltà, una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese, ma mina anche il principio stesso di sovranità e autodeterminazione dei popoli. Mentre il mondo assiste sgomento, Trump prosegue con una politica fatta di mosse unilaterali, che ignorano completamente gli equilibri regionali e i meccanismi della diplomazia globale. L’idea di Trump è chiara. Gaza dovrebbe essere completamente demolita, ricostruita e trasformata in una “Riviera del Medio Oriente”, un polo turistico e commerciale che attragga investitori da tutto il mondo. Un progetto ambizioso, che, nelle dichiarate, mira a creare migliaia di posti di lavoro e a dare stabilità alla regione. Tuttavia, il prezzo di questa trasformazione sarebbe altissimo. Lo spostamento forzato della popolazione palestinese in Egitto e Giordania, in quello che viene descritto come un esilio senza ritorno.
Durante una conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente statunitense ha ribadito che questo è l’unico modo per garantire la sicurezza di Israele e chiudere definitivamente il capitolo Gaza. Un’affermazione che lascia intravedere non solo l’abbandono definitivo dell’idea dei due Stati, ma anche un cambiamento radicale nella strategia americana in Medio Oriente.
Le reazioni non si sono fatte attendere. Le Nazioni Unite hanno espresso profonda preoccupazione, ribadendo che qualsiasi soluzione per Gaza deve rispettare i diritti della popolazione locale e non può essere imposta unilateralmente. Egitto e Giordania hanno già fatto sapere di essere contrari a qualsiasi ipotesi di reinsediamento forzato dei palestinesi nei loro territori, temendo ripercussioni sociali e politiche interne. L’Unione Europea ha avvertito che qualsiasi intervento senza un accordo negoziato rischia di alimentare ulteriormente le tensioni. Nel frattempo, le principali organizzazioni per i diritti umani hanno definito il piano “una pulizia etnica mascherata da progetto di riqualificazione urbana”.
Ma il piano per Gaza è solo un tassello di una strategia più ampia. L’amministrazione Trump ha già ritirato gli Stati Uniti dal Consiglio ONU per i Diritti Umani (UNHRC), accusandolo di essere ostile a Israele e inefficace nel contrastare i veri violatori dei diritti umani. Ha poi sospeso nuovamente i finanziamenti all’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che fornisce assistenza a milioni di rifugiati palestinesi, giudicandola un “ostacolo alla pace”. Infine, ha sancito il ritiro dagli accordi internazionali sul clima e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), consolidando una politica estera sempre più isolazionista e unilaterale.
Questa visione è chiara. Gli Stati Uniti non devono più vincolarsi a istituzioni internazionali che, secondo Trump, limitano la loro capacità di agire.
Sul piano pratico, il piano per Gaza presenta gravi criticità nella sua realizzazione. Lo spostamento forzato di milioni di persone rischia di scatenare una crisi umanitaria di vasta portata, con ripercussioni geopolitiche imprevedibili. La comunità internazionale si trova di fronte a un progetto che, di fatto, sancisce la fine della presenza palestinese nella Striscia, sollevando questioni di legittimità e rispetto del diritto internazionale. L’idea di trasformare una delle aree più instabili del mondo in un polo turistico e commerciale appare priva di basi concrete, ignorando le profonde tensioni politiche e sociali che caratterizzano la regione.
Se davvero si crede che la pace possa nascere dal cancellare un popolo da un territorio e ridisegnare i confini secondo un progetto economico, significa che siamo entrati in un’epoca in cui la logica della forza ha sostituito ogni tentativo di mediazione e convivenza. Ma questo piano non è solo irrealistico, è pericoloso, perché rischia di inasprire tensioni già esplosive, di alimentare nuovi conflitti e di spingere il Medio Oriente verso un punto di non ritorno.
La politica di Trump in Medio Oriente non si ferma alla questione di Gaza. Durante lo stesso annuncio, il presidente ha ribadito la necessità di ripristinare la politica di “massima pressione” contro l’Iran, accusando Teheran di essere “il principale sponsor del terrorismo globale” e di tentare di sviluppare armi nucleari. Secondo Trump, l’ONU ha fallito nel contrastare le violazioni dei diritti umani in Iran, lasciando campo libero a un regime che minaccia la stabilità regionale.
Trump sembra seguire una logica che ignora completamente la realtà sul campo e gli equilibri internazionali. La sua visione, basata su decisioni unilaterali e sull’uso della forza economica e diplomatica, rischia di inasprire tensioni già esplosive e di alimentare instabilità anziché risolvere i conflitti. Sia la proposta su Gaza che il ritorno della pressione su Teheran dimostrano che l’amministrazione statunitense sta scegliendo la strada dell’imposizione piuttosto che quella del dialogo. Ma la storia insegna che le soluzioni imposte dall’alto, senza il coinvolgimento delle parti in causa, portano solo a nuove crisi. E il Medio Oriente, già profondamente segnato da decenni di conflitti, non può permettersi l’ennesima mossa azzardata.