Giorni di fuoco per Gerusalemme: al Quds riaccende lo scontro tra palestinesi ed ebrei


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(Anna Maria Brancato) –  Al Quds. Gerusalemme. “La Santa”. La Profanata, semmai. La Città che non trova pace. Sono giorni di fuoco questi per Gerusalemme, e questa non vuole essere una metafora, durante i quali una parte della Città si trova a combattere una guerra ideologica più che religiosa nella totale indifferenza non solo della comunità “occidentale” (indifferenza a cui peraltro ci si è abituati), ma nella totale solitudine e abbandono da parte del mondo arabo e islamico.

Sono giorni importanti sia per i palestinesi, che si apprestano a celebrare l’aid al adha, che per gli ebrei alla vigilia dello Yom Kippur.

L’inasprirsi delle tensioni risale a circa una settimana fa, quando visitatori israeliani appartenenti a gruppi nazionalisti hanno fatto irruzione nella Spianata delle Moschee, scatenando la furia palestinese.

In breve

 Gerusalemme è sempre stata al centro delle mire ebraico – israeliane già dal 1947, quando la Risoluzione ONU 181 proponeva che la città passasse sotto controllo internazionale. Il perpetrarsi delle ostilità arabo – israeliane fece sì che Israele riuscisse a occupare la parte ovest di Gerusalemme, mentre la Giordania si posizionò a Est della Città, mantenendo inoltre il controllo sui luoghi sacri.

Con la guerra del ‘67, Israele estese la sua presenza nella parte Est, occupando illegalmente la Gerusalemme araba e cercando di perseguire quella unificazione della Città tanto agognata. Ma la fine della guerra e la pace con la Giordania riportarono i luoghi sacri sotto l’amministrazione del fondo religioso musulmano (il Waqf) e sotto la custodia giordana. Israele però mantiene il diritto di regolare l’accesso dei fedeli nell’area e nell’80 ci riprova, varando alla Knesset (il Parlamento israeliano) una legge sull’estensione della giurisdizione israeliana a Gerusalemme Est.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha più volte condannato Israele con varie risoluzioni e considera ancora oggi Gerusalemme Est come “Territorio Occupato”.

Oggi

 Gli scontri tra militari israeliani e fedeli palestinesi si stanno consumando proprio a Gerusalemme Est,  nella meglio nota Spianata delle Moschee, all’interno della quale sono ammessi tutti i credenti ma dove solo i musulmani possono pregare.

La Spianata è la sede della Cupola della Roccia, luogo dal quale i musulmani ritengono che il Profeta sia asceso al cielo. Più a sud si trova la moschea di Al Aqsa, teatro degli scontri.

A delimitare la Spianata, il cosiddetto “Muro del Pianto” o muro occidentale, caro agli ebrei, che rappresenta i resti del Tempio di Erode, distrutto da Tito nel 70 a.C.

Israele non ha mai fatto mistero delle sue mire espansionistiche sull’intera Spianata ed è ciò che ha voluto dimostrare Sharon, quando nel 2000 si concesse la celebre “passeggiata sulla Spianata” scatenando la Seconda Intifada.

Ma ci sono frange religiose più estreme fra gli ebrei che mirano alla ricostruzione di quel Tempio e recenti studi architettonici ipotizzano che il nuovo sito debba nascere proprio lì, nell’angolo sud – occidentale vicino alla moschea di Al Aqsa.

Questi ultimi eventi hanno smosso anche la diplomazia giordana: l’ex Primo Ministro Taher al – Masri ha dichiarato che gli attacchi degli ultimi giorni rientrano all’interno del piano israeliano di “giudaizzazione” di Gerusalemme per svuotarla della presenza araba; ma allo stesso tempo afferma che la Giordania può solo cercare di avviare relazioni diplomatiche con Israele. Dovrebbero essere gli altri leader arabi a pensarci (sic!)

Qualcuno a questo punto teme una Terza Intifada, essendo ancora nitido il ricordo della Seconda  o ancora, del meno recente episodio del 1994 a Hebron quando un colono, Baruch Goldstein, fece una strage nella moschea Ibrahimi, sparando all’impazzata sui fedeli. Neanche in quella occasione venne scelto un giorno a caso per il massacro: era il 25 febbraio, giorno in cui cadeva la festa del Purim (che commemora la liberazione del popolo ebraico nell’antico Impero Persiano).

Alla luce non solo degli ultimi eventi che hanno destabilizzato Gerusalemme ma anche della situazione drammatica che la Palestina e i palestinesi si trovano ad affrontare mi chiedo se sia ancora opportuno parlare di Prima e Seconda Intifada. Intifada in quanto ribellione, in quanto espressione estrema della Resistenza.

Se per Intifada si intende la lotta e la protesta che quotidianamente la Palestina porta avanti contro la forza occupante, allora  un’Intifada è sicuramente ancora in atto. Un’Intifada che dall’87 non è mai cessata. Che ha avuto picchi forse, escalation per così dire, come quella nel 2000. Ma non si è mai arrestata.

Allora sì che ha ancora senso parlare di Intifada e di ribellione popolare, nonostante lo stallo politico dell’ANP (l’Autorità Nazionale Palestinese), troppo impegnata ormai a collaborare con Israele sul fronte della sicurezza interna e nonostante le potenze “occidentali” non stiano intervenendo per condannare questa limitazione violenta della libertà di religione, di movimento, di pensiero, che si sta verificando ad Al Quds, nella Santa Città Profanata.

Ma all’Israele sionista evidentemente piace così. Piace festeggiare il giorno più sacro, più solenne, il giorno del pentimento, del perdono e della riconciliazione (quale lo Yom Kippur dovrebbe essere)… all’insegna della violenza.

 

 

 

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