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(Federica Cannas) – C’era una volta il Golfo del Messico. Poi arrivò Google Maps, e con un colpo di scena decise che no, quel tratto di mare meritava un’identità più patriottica. Welcome to the Gulf of America. Come se qualcuno, senza chiedere permesso, sostituisse il cartello della nostra via con un nome nuovo e ci dicesse che è sempre stato così. Oppure cambiasse il nostro nome sul citofono e ci convincesse che, in fondo, suona meglio. Ecco, qualcosa di simile è successo alla storica insenatura che bagna Messico, Stati Uniti e Cuba.
Ma chi ha deciso questa ridenominazione geopolitico-digitale? È un refuso o l’ennesimo tentativo di branding territoriale made in USA?
Tutto è iniziato quando alcuni utenti americani hanno notato che, cercando il Golfo del Messico su Google Maps, appariva la dicitura “Gulf of America”. Un dettaglio che non è sfuggito agli internauti messicani, che hanno subito sollevato la questione.
Le reazioni non si sono fatte attendere. Sdegno sui social, ironia nei meme, e inevitabili teorie. La spiegazione ufficiale di Google? Nessuna. Silenzio stampa. E mentre la rete si divide tra indignati e divertiti, la mappa resta lì, con il suo nuovo toponimo politicamente esplosivo.
Se l’idea era quella di riscrivere la geografia senza chiedere il permesso, Google potrebbe aver sottovalutato la proverbiale pazienza messicana. La questione è arrivata sui media nazionali, con giornalisti, politici e cittadini che si sono chiesti se questa fosse l’ennesima appropriazione culturale a stelle e strisce.
Quando Donald Trump dice una fesseria, il mondo spesso si divide tra chi la prende sul serio e chi la smonta con ironia. La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha scelto la seconda strada.
Un mese fa, rispondendo alla discussa proposta del presidente degli Stati Uniti di ribattezzare il Golfo del Messico come “Golfo d’America”, aveva sfoderato una mappa del 1607, con un dettaglio piuttosto interessante. Il Nord America era indicato come “America messicana”, comprendendo sia l’attuale Messico che gli Stati Uniti.
Con ironia aveva quindi osservato che, se proprio si volesse giocare con i nomi, sarebbe bello chiamare l’intero Nord America “America messicana”. Un modo elegante per sottolineare l’assurdità della proposta di Trump e ricordare che la geografia non si riscrive con un tweet o una decisione unilaterale. Se il trend dovesse continuare, ci si potrebbe aspettare una serie di aggiornamenti cartografici a tema patriottico. Il Mar dei Caraibi potrebbe diventare il “Mare della Libertà”, perché suona più epico.
Scherzi a parte, la vicenda solleva un punto interessante sulla gestione delle mappe digitali. In un’epoca in cui il mondo è sempre più dipendente da Google Maps e servizi simili, chi ha davvero il potere di decidere i nomi e i confini?
Se un colosso tecnologico può cambiare il nome di una regione senza consultare alcuna autorità, cosa ci assicura che un domani non decida di ridefinire interi confini?
Mentre il dibattito infuria, il Golfo del Messico continua ad esistere, indifferente alla guerra digitale sul suo nome.
Google Maps correggerà l’errore o lascerà che il tempo normalizzi il nuovo toponimo?
Nel frattempo, per sicurezza, diamo un’occhiata al nome della nostra città su Google Maps. Non si sa mai.