Hollande e la sindrome della grandeur


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(Franco Murgia) – Era dai tempi di Mitterrand, ormai vent’anni, che la sinistra non prendeva le leve del comando della Francia. La grande delusione delle presidenze Chirac e Sarkozy le hanno spalancato le porte, e, con queste premesse, quella che si preannunciava come una presidenza normale, di un presidente normale, sembrava il modo migliore per uscire dalle stravaganze dei suoi predecessori.

Un uomo grigio, certo, ma onesto lavoratore della politica, che prometteva di fare le riforme di sinistra sul fisco, con un riequilibrio a favore delle classi medie, e sulle politiche sociali, con un occhio di riguardo verso gli ultimi, sembrava l’ideale dopo l’ubriacatura liberista che stava affossando la Francia.

Ma dopo lo stop della corte costituzionale alla super tassa per i più ricchi, le risorse per la ripresa dell’economia e per gli interventi sul sociale sono sempre meno, e l’andamento economico dice che la Francia è, dopo l’Italia, il paese a maggior rischio crescita fra i grandi dell’Europa. Per questo, visti i risultati scarsi in politica interna, Hollande in questi anni si è concentrato su quella estera, rispolverando l’interventismo che ha fatto grande la Francia coloniale.

È stato il primo ad intervenire in Libia, e, anticipando tutti, ha staccato la golden share per la gestione del petrolio libico strappando la leader ship in quel paese all’Italia.

È intervenuto a piedi uniti in Mali spacciando l’intervento come umanitario, per evitare un massacro, si è giustificato, ma di fatto per tutelare i suoi interessi africani che la sempre maggiore invadenza dei paesi emergenti, Cina e India su tutti, rischiano di compromettere definitivamente.

Insomma, indossa la divisa da gendarme, ma sotto si intravvede il color caki delle divise coloniali, se possibile reso solo più ridicolo dalla sfumatura del rosso socialista di cui Francois ammanta la sua politica parlata ma non fatta.

La conferma della direzione del timone della Francia nell’epoca Hollande viene dal suo comportamento nella vicenda siriana, con riferimento particolare all’episodio del bombardamento con armi chimiche nella regione della Ghouta, nei pressi di Damasco, vicenda che stava per far scivolare il mondo in una tragica guerra planetaria.

La spinta più forte in direzione dell’attacco statunitense è stata sempre quella francese, che quanto a servilismo nei confronti degli Usa, ha superato, se possibile, anche la Gran Bretagna che è stata costretta al dietro front dal voto parlamentare. Il primo ministro Fabius, invece, di concerto con gli Stati Uniti, ha più volte millantato di essere in possesso di documentazione sufficiente a provare la colpevolezza di Bashar el Assad.

L’evoluzione della vicenda, con indagini europee indipendenti, ha dimostrato, invece, che la responsabilità dell’attacco era dei ribelli, che cercavano così di provocare l’intervento internazionale. Ma la cosa più grave è che gli Stati Uniti, e quindi anche la Francia, conoscevano bene la verità.

Insomma, dopo gli insuccessi nella politica interna, anche quella estera non ha brillato per il prode Francois, che in casa è stato  investito anche dalle polemiche per i costi eccessivi del suo interventismo, che hanno portato la spesa delle missioni a raddoppiare in breve tempo. In tempi di vacche magre questo è un prezzo che Hollande pagherà, come dimostrano i sondaggi che lo danno in basso come mai nessun presidente prima di lui.

Una rotta, la sua, che nessuna azione di propaganda sembra in grado di invertire.

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