
(Bruno Scapini) – La montagna partorisce il topolino! Frase proverbiale che ben si attaglia all’esito della “riunione d’emergenza” convocata con tanta enfasi da Macron a Parigi perché l’Europa potesse dare la giusta risposta alle provocazioni americane.
L’UE, risentita per l’esclusione decretata da Trump dai colloqui sull’Ucraina – almeno in questa prima fase negoziale – ha fatto così sentire la propria voce: ribadisce il sostegno a Kiev e conferma il noto progetto di sicurezza e difesa europeo (leggere militarizzazione), già peraltro in precedenza annunciato dalla Commissione a guida Ursula von der Leyen. Nessuna vera novità, quindi, emerge da Parigi, ma piuttosto il segno inconfondibile di un’Europa visceralmente divisa e contrapposta. Un quadro di cronica debolezza, questo, reso peraltro manifesto dai diversi atteggiamenti assunti dai Partner proprio a riguardo della posizione che avrebbero dovuto assumere verso gli USA.
Una prima spaccatura, a ben osservare, è stata causata proprio da Macron invitando al vertice “informale” solo i leader “addomesticati” al credo europeista e tralasciando gli altri più refrattari o perplessi (la maggioranza dei Paesi orientali). Poi, vanno ad aggiungersi le ulteriori incrinature provocate alla compagine europea dagli altri singoli leader.
Da notare, in tale contesto, il passo in avanti di Starmer che, ancor prima del vertice si dichiarava ben disposto all’invio di truppe britanniche in Ucraina, e il passo indietro di Scholz che, preso dai timori di un esito negativo alle ormai prossime elezioni politiche in Germania, afferma essere al momento la decisione su una presenza militare in Ucraina del tutto prematura.
L’Italia, per voce della sua Premier Meloni, e fiera del ruolo di pontiere tra Unione Europea e Stati Uniti – ottenuto più per auto-conferimento che per un espresso mandato della Casa Bianca – invita prudentemente i Partner a non contrastare Trump, mentre, per parte loro, gli altri leader non avrebbero espresso che incertezze sulla posizione da assumere vis-à-vis l’America di Trump, a fronte del quale più d’uno a Parigi si sarebbe eretto a potenziale alfiere in rappresentanza degli europei. Oltre all’Italia, infatti, si sarebbero fatti avanti il Regno Unito, forte della sua posizione di indipendenza tra le due sponde dell’Atlantico, e lo stesso inquilino dell’Eliseo, tradizionalmente incline ad incarnarsi in rinnovate figure napoleoniche a seconda delle circostanze.
Parigi è stata così la sede di un fallimento. La prova della incongruenza dell’Europa, e soprattutto dell’Unione Europea che ancora una volta ha dimostrato al mondo di non essere all’altezza dei compiti che la nuova prospettiva multipolare impone agli Stati. In un contesto di rapporti internazionali a stretta interdipendenza, e in cui la risposta ad un evento rischia di giungere sempre in ritardo, non c’è posto per un soggetto privo di sovranità. E questo, probabilmente, devono averlo capito gli esponenti più impegnati per la causa globalista. Macron per la Francia e Mattarella per l’Italia, infatti, parlano con sempre crescente frequenza di una necessaria “sovranità” da consacrare all’Unione Europea, ma dimenticano, tuttavia, così atteggiandosi, che la “sovranità” che intenderebbero perseguire non può essere la loro, frutto di insidiose architetture politiche costruite subdolamente a Bruxelles, bensì quella esclusivamente legittimata da una espressa volontà dei popoli europei. Ed è proprio la volontà dei popoli che dall’origine è mancata alla costruzione di una Europa veramente democratica e solidale. E questo il vertice di Parigi lo ha ampiamente dimostrato!