Il Genocidio armeno, Biden e la promessa: se son rose fioriranno!


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 (BRUNO SCAPINI) – La ricorrenza del 24 aprile ci porta inevitabilmente alla memoria lo spaventoso dramma che ha colpito il popolo armeno nel 1915. Iniziava in quel lontano giorno di aprile a Istanbul quello che è passato alla Storia come il primo Genocidio del XX secolo. Oltre un milione e mezzo di armeni caddero vittime della furia omicida dell’Impero ottomano. Nè peraltro il Paese erede di quell’Impero, la Turchia, responsabile dell’orrendo misfatto, ha finora mostrato un seppur minimo segno di rimorso o di pentimento. Al contrario! Nell’ostinarsi a non riconoscere la verità sul Grande Massacro, appare evidente come la attuale dirigenza turca dia ampia prova non solo di difendersi nascondendo le proprie colpe dietro il velo fallace di una vergognosa menzogna, ma anche, e sopratutto, di voler disdegnare una qualsiasi riconciliazione con la propria coscienza e con la stessa Storia. “Continueremo l’opera dei nostri padri!” ha dichiarato a conferma di questa posizione Erdogan in una sua sciagurata esternazione dello scorso anno.

Come ricorre il 24 aprile la memoria di questa tragedia, così riaffiora puntualmente alla ribalta della cronaca, in coincidenza con questa data, anche la vecchia questione del pronunciamento americano sul suo riconoscimento quale “Genocidio”.

Sembra quasi che il mondo intero in tutti questi anni e decenni sia rimasto in sospeso di fronte all’atroce misfatto. Sì, è pur vero che molti Paesi e Governi hanno proceduto al suo riconoscimento. Ma pochi, molto pochi sono stati i pronunciamenti di effettivo portato politico. Ci si è affidati più a dichiarazioni emotive, dettate dal senso di ripulsa che certe inspiegabili azioni possono suscitare, che per vero e responsabile impegno politico.  Si è trattato, infatti, salvo qualche rara eccezione come la Francia, di posizioni assunte con significato umanitario o sostenute dall’invito rivolto ai Governi acché essi procedano responsabilmente al riconoscimento.

Fino ad oggi, la “ vexata quaestio” è rimasta purtroppo tema ancora di dibattito.   C’è chi, allineato per condiviso sentire con la Turchia, si trincera dietro un irremovibile negazionismo, relegando l’immane eccidio ad un mero episodio di guerra civile consumatosi fuori del controllo governativo turco, ma c’è anche chi, offeso nella dignità vituperata di una Nazione, persegue ancora e tenacemente il fine della restaurazione storica di una lesa giustizia. E questo è il caso del popolo armeno. Il recupero della sua identità non conosce del resto  altro mezzo se non quello di un’azione volta al perseguimento di un riconoscimento universale del Genocidio. E deve, infatti, essere proprio questo obiettivo il fondamentale impegno politico della moderna Armenia, al di là di qualunque ideologia o compromesso politico del suo Governo. Un impegno tra l’altro  assunto tra i suoi principi fondamentali dalla stessa Dichiarazione di Indipendenza in nome dell’intera Nazione quale precipuo compito e dovere politico, oltre che per quell’ineluttabile esigenza morale che è stata fino ad oggi lesa e calpestata.

Ma nonostante la diffusa partecipazione alla commemorazione della tragedia che il 24 aprile di ogni anno ricorre, il Genocidio armeno continua purtroppo a consumarsi. Frequentissime sono tuttora da parte degli antichi nemici le manifestazioni di odio contro il popolo armeno, e continue le azioni di cancellazione della sua memoria storica perpetrate attraverso la sistematica distruzione delle Chiese armene e di quanto possa ricordare al mondo l’esistenza di questa grande civiltà. Basti rivedere, a chi non abbia seguito gli eventi di guerra del settembre del 2020, le orrende scene di morte e di distruzione del Nagorno Karabagh provocate da un deprecabile quanto ingiusto attacco militare dell’Azerbaijan.

Ma a sollevarci gli animi, quest’anno, e a farci sperare in un decisivo cambio del corso storico, giungerebbe inaspettatamente dall’America la notizia di un possibile riconoscimento del Genocidio da parte del Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden! Non è la prima volta che un Presidente americano prometta in campagna elettorale un tale pronunciamento, salvo poi a rivedere le proprie posizioni dopo l’elezione in virtù di aggiustamenti correttivi dettati dalle superiori esigenze di una consolidata strategia di sostegno alla Turchia. Ma questa volta il Presidente USA sembrerebbe fare sul serio.

“Timeo Danaos et dona ferentes!” ( Temo i Danai e coloro che offrono doni ) dicevano gli antichi latini. Dopo tanta riluttanza, durata anni e decenni, a pronunciare la fatidica parola, cosa potrebbe nascondere oggi questa inaspettata generosità della Casa Bianca? Nulla in politica si fa per niente. Se si dà qualcosa, qualcos’altro si pretende di ottenere in cambio e spesso a un prezzo persino maggiorato! E la coincidenza, in questa critica visione, della mossa di Biden con i nefasti esiti sofferti dall’Armenia con l’ultima guerra scoppiata e combattuta lo scorso autunno, potrebbe probabilmente spiegare le ragioni di un eventuale passo di Washington in questa direzione e fornirci la chiave di lettura di un prossimo scenario strategico nell’area le cui direttrici non appaiono ancora chiaramente definibili. Un’Armenia sconfitta, ancora una volta umiliata nella sua dignità nazionale, incapace di porre sui tavoli negoziali termini di una pace a sé utile e che provano invece soltanto una volontà decapitata di compiacere gli interessi dei vicini alleati dell’Occidente, dovrebbe ben trovare nelle eventuali parole di Biden la giusta ricompensa per la rinuncia a svolgere il tradizionale storico ruolo sullo scacchiere caucasico.

Ma i fatti, soltanto i fatti ci potranno dare lo strumento per giudicare. Se son rose fioriranno, si dice comunemente. Intanto, non ci rimane altro che attendere fiduciosi che la promessa di Biden si compia.

 

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