Il genocidio degli armeni e il grido di Abele


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(Salvatore Lazzara) – Il 12 aprile, in occasione dell’anniversario del genocidio degli Armeni, Papa Francesco, durante la solenne Celebrazione commemorativa alla presenza delle più alte cariche ecclesiastiche e politiche dell’Armenia, pronunciò parole molto forti sulle sofferenze subite da quella gente. Denunciò con coraggio le violenze subite dal popolo armeno, per mano dell’Impero Ottomano. Bergoglio, non esitò ad affermare che il grande male è stato il primo genocidio del XX secolo. L’ira della Turchia, per i pronunciamenti del Papa, fu molto dura. Il nunzio Mons. Lucibello fu convocato immediatamente dal governo di Ankara, che espresse “disappunto”, per le parole pronunciate dal Pontefice. Successivamente il governo, richiamò il proprio ambasciatore dalla Santa Sede. Il ministro degli esteri Cavuysoglu, definì “inaccettabili” le parole di Francesco, scrivendo su twitter che “le dichiarazioni del Papa, che non sono fondate su dati storici e legali, sono inaccettabili”. La Turchia nonostante le inoppugnabili prove storiche, continua a negare che quello del 1915-16 sia stato un genocidio e combatte una guerra diplomatica permanente per cercare di impedire che sia riconosciuto all’estero da un numero crescente di stati.

Nella delicata situazione geopolitica odierna, la Turchia occupa un posto rilevante. Ai confini del suo territorio, bussa alla porta lo stato islamico, per ottenere appoggi politici e militari e con il quale intrattiene rapporti ambigui e destabilizzanti, che influiscono negativamente sulla presenza dei cristiani in medioriente e l’avanzata del terrorismo islamico. Non possiamo dimenticare che la Turchia è il Paese dove negli ultimi anni i cattolici hanno pagato un tributo di sangue molto alto: don Andrea Santoro è stato ucciso a Trebisonda nel 2006, e il vescovo Luigi Padovese è stato ucciso a Iskenderun nel 2010. Per non citare le restrizioni in materia di libertà religiosa a cui sono sottoposte le varie confessioni religiose di matrice cristiana. Ormai l’incidente diplomatico, sembra inghiottito nella voragine del dimenticatoio. Il sangue degli innocenti continua a gridare al cospetto di Dio. Esige giustizia.  La Chiesa Armena, dopo qualche giorno, durante una solenne Celebrazione canonizzò tutte le vittime del genocidio, riconoscendo il martirio di quanti furono trucidati in nome della fede e dell’appartenenza etnica.

E’ opportuno riproporre l’impegno della Chiesa cattolica, nel riconoscere il genocidio generato dalla follia dell’uomo nei confronti degli Armeni, a partire da Benedetto XV Giacomo Della Chiesa, fino a Papa Francesco.

“V.S.Illma faccia, Nome Santo Padre, le più vive istanze presso cotesto ministero Esteri…, affinché i poveri armeni siano rispettati dai turchi rioccupanti territorio attribuito loro nel trattato pace con Russia”. Il 12 marzo 1918 il delegato apostolico di Costantinopoli mons. Dolci riceve questo telegramma cifrato del segretario di Stato vaticano, il cardinale Gasparri, in cui, appunto, si intravede l’attenzione, anzi l’ansia, della Santa Sede – e in questo caso, del Papa Benedetto XV – rispetto alla sorte terribile a cui sono andate incontro le popolazioni armene, ossia una vera e propria strategia di distruzione sistematica degli armeni da parte del governo ottomano. In particolare, il telegramma citato si riferisce alla situazione creatasi, dopo le vicende belliche della Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, nonché la creazione di una Repubblica Armena indipendente, che però subiva pressioni e attacchi da parte dell’Impero ottomano e da parte delle autoproclamatesi repubbliche azere e armene.

L’illusione degli Armeni di poter essere finalmente un Paese e una patria durò davvero poco: dal 1918 al 1922, il tempo della Repubblica, poi spazzata via inesorabilmente. La Santa Sede, in prima linea per far cessare i massacri, cercò in questo lasso di tempo di appoggiare l’Armenia agendo, nei limiti del possibile, presso le potenze occidentali e avviando i primi contatti in vista di regolari rapporti diplomatici con il nuovo Stato. In ogni caso, Benedetto XV ha compiuto passi significativi a sostegno degli armeni: la sua Nota alle potenze belligeranti, inviata il 1° agosto 1917, al punto numero 5 invocava «l’assetto dell’Armenia», alla pari di quanto si chiedeva per gli Stati balcanici e per la Polonia. A chi potesse obiettare che, forse, l’appoggio all’Armenia, da parte del soglio pontificio, non fosse del tutto disinteressato, c’è invece da rispondere, che la Santa Sede aveva semplicemente a cuore le sorti di un popolo fiero e nobile, orgoglioso del suo “primato” di nazione cristiana, perseguitato e condannato a rischiare persino l’estinzione.

Il 9 novembre 2000 Papa Giovanni Paolo II e il Catholicos Karekin II, il capo della Chiesa apostolica armena, firmavano a Roma un «comunicato congiunto» nel quale si parlava esplicitamente del «genocidio armeno»: “I capi delle nazioni non temevano più Dio né essi provavano vergogna di fronte al genere umano. Il XX secolo è stato contrassegnato per noi da una estrema violenza. Il genocidio armeno, all’inizio del secolo, ha costituito un prologo agli orrori che sarebbero seguito. Due guerre mondiali, innumerevoli conflitti regionali e campagne di sterminio deliberatamente organizzate che hanno tolto la vita a milioni di fedeli”. L’iniziativa provocò una durissima reazione diplomatica della Turchia. Mercoledì 26 settembre 2001 durante il viaggio in Armenia, San Giovanni Paolo II e S.S. Karekin II si recarono al Memoriale di Tzitzernakaberd, complesso architettonico costruito a Yerevan a ricordo delle vittime armene cadute nel 1915 per mano dell’Impero Ottomano. Anche se Papa Woytila, evitò di usare la parola “genocidio”, i riferimenti furono altrettanto espliciti e senza ambiguità. Dopo aver pregato insieme per tutte le vittime della nazione armena e per la pace nel mondo, il Papa recitò una preghiera, che ripropongo alla vostra attenzione:

 

“O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!

Ascolta, o Signore, il lamento che si leva da questo luogo,

l’invocazione dei morti dagli abissi del Metz Yeghérn,

il grido del sangue innocente che implora come il sangue di Abele,

come Rachele che piange per i suoi figli perché non sono più.

Ascolta, o Signore, la voce del Vescovo di Roma,

che riecheggia la supplica del suo Predecessore, il Papa Benedetto XV,

quando nel 1915 alzò la voce in difesa

“del popolo armeno gravemente afflitto,

condotto alla soglia dell’annientamento”.

Guarda al popolo di questa terra,

che da così lungo tempo ha posto in te la sua fiducia,

che è passato attraverso la grande tribolazione

e mai è venuto meno alla fedeltà verso di te.

Asciuga ogni lacrima dai suoi occhi

e fa che la sua agonia nel ventesimo secolo

lasci il posto ad una messe di vita che dura per sempre.

Profondamente turbati dalla terribile violenza inflitta al popolo armeno,

ci chiediamo con sgomento come il mondo possa ancora

conoscere aberrazioni tanto disumane.

Ma rinnovando la nostra speranza nella tua promessa, o Signore,

imploriamo riposo per i defunti nella pace che non ha fine,

e la guarigione, mediante la potenza del tuo amore, di ferite ancora aperte.

La nostra anima anela a te, Signore, più che la sentinella il mattino,

mentre attendiamo il compimento della redenzione conquistata sulla Croce,

la luce di Pasqua che è l’alba di una vita invincibile,

la gloria della nuova Gerusalemme dove la morte non sarà più.

O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!

Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà (in Armeno)”.

 

Benedetto XVI, ricevendo Nerses Bedros XIX Tarmouni, patriarca di Cilicia degli armeni, il 20 Marzo 2006, accompagnato dai componenti del Sinodo patriarcale, nel discorso pubblico affermò: “La Chiesa armena, che fa riferimento al Patriarcato di Cilicia, è certamente partecipe a pieno titolo delle vicende storiche vissute dal popolo armeno lungo i secoli e, in particolare, delle sofferenze che esso ha patito in nome della fede cristiana negli anni della terribile persecuzione che resta nella storia col nome tristemente significativo di Metz Yeghèrn, il Grande Male”.

Papa Francesco alla presenza delle più alte cariche ecclesiali ed istituzionali armene, nell’ormai famosa e storica Celebrazione di commemorazione, affermò: “In diverse occasioni ho definito questo tempo un tempo di guerra, una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione. Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra.

La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come «il primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001); essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo. E più recentemente altri stermini di massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia. Eppure sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente. Sembra che l’entusiasmo sorto alla fine della seconda guerra mondiale stia scomparendo e dissolvendosi. Pare che la famiglia umana rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo ancora imparato che “la guerra è una follia, una inutile strage”.

 

 

 

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