(BRUNO SCAPINI) – Il 24 aprile di ogni anno ricorre la commemorazione del Genocidio degli armeni. Il primo Genocidio del XX secolo che ha colpito con assurda ferocia un popolo già dalla Storia sacrificato molte volte sull’altare della violenza. Ma non per sua colpa, perché aggressivo, insocievole o incline alla perpetuazione del male, bensì per sua mera sfortuna, quella di trovarsi in una terra di insediamento storico ambita da altre nazioni quale crocevia di strade, di interessi strategici e di transiti tra continenti. Oggi, come ieri, l’Armenia è ancora a rischio. A rischio è non solo la sua indipendenza come Stato, alla luce degli esiti delle ultime guerre perdute, o la prospettiva di una ripresa economica, ma anche, e soprattutto, la sopravvivenza della sua idea-sostanza di Nazione. Sì perché proprio l’identità del suo popolo sta ancor oggi subendo la più vergognosa delle vessazioni sia a seguito dell’atteggiamento dei Paesi occidentali, indifferenti alle cause armene in nome di un mercimonio tra interessi energetici e libertà, sia a causa della politica di espansione seguita dai suoi irruenti e combattivi vicini, la Turchia e l’Azerbaijan. A ricordarci quanto questi Paesi siano inaffidabili e spietati, soccorrono in fondo le parole pronunciate dallo stesso Erdogan a riguardo dell’Armenia.
”Dovremo continuare l’opera dei nostri padri!” ha dichiarato solo recentemente il Presidente turco facendo ben intendere il suo riferimento intenzionale al Genocidio!
Ma a scongiurare altri simili misfatti per il futuro, la memoria evidentemente non basta. Non basta più. Sì, il ricordo della grande tragedia resta sempre elemento fondamentale quale traccia storica, quale prova del misfatto compiuto, ma non sembra più sufficiente come fonte di insegnamento alle nuove generazioni al fine di evitare che altre tragedie abbiano ancora a verificarsi. Se guardiamo al corso politico attuale, infatti, facilmente noteremo che mai come in questi nostri tempi l’umanità sta attraversando uno dei periodi più bui e angoscianti dell’età moderna. A nulla è servito sopravvivere alle due Guerre Mondiali: l’uomo non ne ha tratto alcun insegnamento. Dopo una fase di apparente recupero di civiltà, allorché sotto la bandiera della dignità della persona umana, le Nazioni Unite hanno inaugurato un’era di civilizzazione del mondo attraverso l’affermazione delle libertà e dei diritti umani, si è già tutto rapidamente dimenticato; ed ecco che oggi, tra i lasciti ascosi dei due conflitti mondiali, ci ritroviamo una terza guerra del pari spietata, ma combattuta a frammenti in ogni angolo del Pianeta e ad un costo altissimo di vite umane.
La memoria non basta più. Il corso storico odierno è costellato di violenze, di guerre, di uccisioni e di genocidi. Ce ne offre ampia evidenza proprio la cronaca quotidiana. E anzi, la facilità con cui si predica la morte, sembrerebbe quasi convincerci dell’intento spregevole e subdolo di alcuni a volerla banalizzare, come fosse un passatempo, un trastullo letale, in cui la posta in gioco è la nostra stessa vita. Se allarghiamo poi lo sguardo al di là delle guerre e delle uccisioni di massa e osserviamo quel che accade nell’ambito interno dei nostri ordinamenti, ebbene, anche qui il gioco della morte sembra prendere il sopravvento. Si legifera per l’eutanasia, per l’aborto facile, per la cremazione liquida… Perfino la pubblicità delle pompe funebri ridicolizza il momento solenne del trapasso come fosse un semplice banale salto in un’altra vita cui giungere cosmeticamente ineccepibili.
Non è forse questa la “cultura della morte” che oggi si impone con prepotenza? E a scongiurarne il sopravvento sembra ancora una volta che la memoria del passato non basti più. Occorre un supplemento d’anima per contenere questo viaggio verso l’abisso, e il Genocidio degli armeni questo ce lo dovrebbe insegnare!
Sì, continuiamo pure a commemorare questi misfatti della Storia. C’è sempre un senso nel farlo, se non altro per compiangere le vittime. Ma per contenere il dilagare della imperante “cultura della morte” occorrerà ben altro. Sarà necessario un serio ripensamento sugli esiti di questo nefando corso politico per comprenderne la direzione; un ripensamento che ci induca a credere in una possibile vittoria del Bene. Ed è nostra convinzione che solo con una partecipazione attiva, diretta e personale all’azione di contenimento di questa nefanda cultura del male potremo garantire la restaurazione dei valori perduti della vita. La memoria, dunque, non basta più a scongiurare altri Genocidi, occorre un serio e avvertito impegno civico da parte di noi tutti.