Il ruolo dei nuovi media e dell’informazione nella legittimazione dell’Isis


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 (Anna Maria Brancato) – Ciò che sta avvenendo in quest’ultimo periodo nei nostri media con il fenomeno Isis è significativo di quanto la comunicazione venga manipolata in modo da privare il lettore o lo spettatore di una conoscenza e di una coscienza reale e  obiettiva del fenomeno.

Tutti ne parlano, tutti lo temono, ma in realtà sono in pochi a sapere che cosa sia esattamente.

Sulla scia di quanto avvenne a suo tempo con al-Qaeda prima e con i (neo)salafiti poi, l’Isis (Is, Isil, Dash), per sua sfortuna, rischia di diventare un fenomeno passeggero che cadrà nel dimenticatoio fino alla prossima dichiarazione di guerra al terrorismo americana.

Sono diversi i punti su cui riflettere. Innanzitutto, la proclamazione del cosiddetto “califfato islamico” (per un approfondimento sul termine e sulla credibilità di questa istituzione rimando a un articolo scritto per SpondaSud da Nicola Melis)  avvenuta tramite diffusione di un audio su internet arriva in un momento in cui, probabilmente, gli americani si sono resi conto di non aver a che fare in Siria con un regime debole e instabile. Hanno bisogno di una minaccia molto più grossa per smuovere Assad. Al quale, a questo punto, non rimangono molte alternative se non dare il proprio appoggio alla coalizione occidentale contro il cosiddetto “terrorismo islamico”.

E’ assodato per molti, infatti, il ruolo dell’Isis come pretesto per rovesciare il regime di Assad, anche se il mainstream si ostina a presentarlo come tentativo di alcuni fanatici islamici sunniti di ri-creare le condizioni adatte per lo sviluppo di una comunità islamica delle origini (sic!).

Salvo poi aggiustare il tiro attraverso uno degli ultimi discorsi di Obama, il quale ci tiene a precisare che “Isis is not islamic”, l’Islam è una religione, non uccide i suoi seguaci come invece fanno i jihadisti.

Proprio per il suo carattere effimero e palesemente strumentalizzato, il maggior pericolo rappresentato dall’Isis è quello di poter essere re-interpretato e utilizzato a piacimento dalle varie forze attive nell’area.

La strategia americana e della coalizione occidentale è tesa a creare terrore nella popolazione in modo che si formi il giusto consenso per poi intervenire in modo massiccio nominalmente contro l’Isis, ma in realtà per rovesciare regimi scomodi.

L’Isis, come a suo tempo al-Qaeda, si trova a suo agio nell’utilizzare i nuovi metodi di comunicazione, dai video su You-tube, ai vari profili Facebook e Twitter dei suoi membri (a tal proposito si rimanda al dettagliato lavoro di ricerca portato avanti da Giovanni Carfora sul “Jihad digitale”)  e mi chiedo se questa enorme spettacolarizzazione del fenomeno non sia funzionale all’obiettivo del movimento che è appunto quella di confondere, creare paure infondate per poi destabilizzare e consegnare il paese nelle mani di politici voluti dall’occidente.

 

Anna Maria Brancato (1986). Laureata in Governance e Sistema Globale all’Università di Cagliari, con una tesi sulla condizione dei profughi palestinesi in Libano e, in particolare, nel campo profughi di Shatila, a Beirut, dove ha soggiornato per svolgere le sue ricerche.

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