Iran bersaglio della destabilizzazione (le conseguenze pericolose di un Occidente filo-saudita)


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Alberto Negri – Chi non sente i tamburi di guerra in Medio Oriente vuol dire che è diventato sordo: è una battuta attribuita qualche tempo fa all’ex segretario di Stato Henry Kissinger. La rivendicazione dell’Isis degli attentati a Teheran è quasi un marchio di fabbrica, un sanguinoso sigillo a decenni di contrapposizione tra la repubblica islamica e un universo sunnita che ha sempre mal sopportato l’esistenza di una “Mezzaluna sciita”.

L’Iran viene colpito perché è lo stato che da più tempo e con maggiore efficacia combatte contro il jihadismo sunnita: lo fa in Iraq a fianco del governo a maggioranza sciita di Baghdad, lo fa in Siria, con l’aiuto decisivo della Russia, sostenendo il regime alauita di Assad e appoggiando in Libano gli Hezbollah, in lotta con i gruppi radicali sunniti e Israele.

L’Iran è anche un Paese dai confini vulnerabili: a Est fronteggia l’Afghanistan, dove i talebani sono sempre stati nemici della repubblica islamica e in Balucistan, dove è attivo il gruppo terrorista sunnita dei Jundullah, i “soldati di Dio”, che negli ultimi anni ha portato numerosi attacchi. Inoltre le cellule dell’Isis possono contare su una consistente minoranza araba nel Golfo. A Occidente ci sono le frontiere con la Turchia, il Kurdistan e l’Iraq, dove Teheran combatte contro il Califfato e i gruppi affiliati ad Al Qaeda, così come in Yemen.

L’Iran è un’isola persiana nel cuore di un Medio Oriente ostile. È anche il Paese da sempre nel mirino degli Stati del Golfo e dell’Arabia Saudita che non hanno esitato prima a finanziare la guerra di Saddam negli anni Ottanta contro la repubblica islamica e poi i gruppi jihadisti per abbattere il regime siriano. L’Iran in questa regione ha spesso sfruttato gli errori di calcolo degli altri giocatori: sono stati gli americani a far fuori i talebani nel 2001 e Saddam nel 2003, sono stati arabi e turchi a illudersi nel 2011 che Assad era finito.

C’è da chiedersi perché l’Occidente si è sempre schierato contro Teheran e mai contro le monarchie del Golfo, alleati spesso ambigui e inaffidabili. La maggiore colpa dell’Iran, oltre alla rottura con gli Usa nel 1979, è quella di costituire una minaccia alla supremazia di Israele, storico alleato di Washington. Le petro-monarchie vengono preferite a Teheran perché gli Usa sono legati a Riad da un patto di ferro e sono investitori di primo piano a Washington e in Europa. Tutte le maggiori basi americane stanno nel Golfo, dal Barhein, dove è di stanza la Quinta flotta, al Qatar. E chi hanno nel mirino? L’Iran e la Russia.

In poche parole l’Occidente ha fatto una scelta in sintonia con i suoi interessi economici basati sul controllo strategico del Golfo: stiamo dalla parte dei sunniti a scapito degli sciiti, una minoranza del 15% nel mondo musulmano. Una contrapposizione evidenziata da un’accesa competizione tra l’ideologia religiosa wahabita dei Saud, una monarchia assoluta e retrograda che ispira i salafiti e integralisti, e lo sciismo iraniano che con la repubblica islamica, uscita dalla rivoluzione khomeinista, ha comunque consolidato un sistema elettorale di cui l’ultimo esempio sono state le presidenziali del 19 maggio.

Questo sbilanciamento a favore del mondo sunnita, che si trascina enormi contraddizioni, è stato in parte temperato dalla politica di “doppio contenimento”, concretizzata nel 2015 nell’accordo sul nucleare. In realtà le sanzioni all’Iran sono state tolte solo in parte: permangono quelle americane sul credito che di fatto impediscono anche agli altri Paesi occidentali, come l’Italia, la firma di grandi contratti.

Ma c’è dell’altro. La guerra in Siria non si risolverà facilmente: l’Iran con la Russia è riuscito a mantenere Assad in sella ma gli Usa, affiancati da Gran Bretagna e Giordania, stanno tentando di tagliare il corridoio iraniano di rifornimento a Damasco e agli Hezbollah, questo è l’altro vero conflitto in corso oltre a quello contro l’Isis a Raqqa e Mosul.

Cambieranno le cose? Trump ha abbracciato la visione saudita, appoggiata da Israele, di equiparare la lotta al Califfato a quella contro l’Iran. Vedremo, dopo gli attentati a Teheran, le reazioni occidentali: ma è assai difficile uscire da contraddizioni che durano da decenni. Il rullo dei tamburi indica che l’Iran è il prossimo bersaglio della destabilizzazione.

 

Il Sole 24 Ore

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