Iran e Stati Uniti: tregua tattica o svolta diplomatica?


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(Marco Cossu) – In un contesto geopolitico segnato da tensioni crescenti, l’Iran ha annunciato la disponibilità ad avviare un dialogo con gli Stati Uniti sul proprio programma nucleare. Una mossa significativa, considerata una reazione diretta alla strategia di “massima pressione” imposta dall’amministrazione Trump, che ha ripetutamente ventilato l’ipotesi di un intervento militare in caso di mancata apertura da parte di Teheran. Per un Paese che ha sempre cercato di mostrarsi autonomo e intransigente nei confronti dell’Occidente, la decisione di sedersi al tavolo dei negoziati segna un momento di particolare vulnerabilità.

Alla base di questa svolta diplomatica vi è una crisi economica sempre più profonda. Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti hanno aggravato il tracollo del rial iraniano, che ad aprile 2025 ha raggiunto il tasso record di oltre un milione per dollaro. L’inflazione galoppante e l’impennata del costo della vita stanno minando la stabilità sociale del Paese, colpendo duramente una popolazione già stremata. Questi squilibri economici, tangibili nella quotidianità di milioni di cittadini, hanno ridotto drasticamente i margini di manovra del governo, costringendolo a rivedere le sue strategie.

La politica statunitense di isolare l’Iran, puntando sul blocco delle esportazioni petrolifere e sull’esclusione dal sistema finanziario globale, ha avuto effetti devastanti. A ciò si aggiunge il progressivo indebolimento dell’influenza regionale di Teheran: l’alleato siriano è caduto, la rete di milizie sostenute in Medio Oriente ha subito pesanti contraccolpi e le operazioni militari americane, in particolare in Yemen, hanno colpito duramente i gruppi filo-iraniani. L’Iran, un tempo attore centrale nello scacchiere mediorientale, appare oggi più isolato e vulnerabile.

Nonostante ciò, l’apertura ai colloqui non è priva di resistenze interne. La leadership iraniana – in particolare la Guida Suprema e i vertici delle Guardie Rivoluzionarie – vede nei negoziati diretti con Washington un rischio per la propria legittimità, costruita in decenni di opposizione all’influenza americana. Accettare un dialogo diretto equivarrebbe, per molti settori del regime, a intaccare una narrazione ideologica fondata sull’autosufficienza e sulla resistenza all’“imperialismo occidentale”.

Dal canto suo, il presidente Trump continua a perseguire un obiettivo ambizioso: ottenere il totale smantellamento del programma nucleare iraniano. Convinto che una pressione costante porterà l’Iran a capitolare, considera il nucleare la chiave di volta del potere strategico di Teheran. Ma per l’Iran il programma atomico è ben più di uno strumento negoziale: rappresenta un pilastro della propria sicurezza nazionale e della proiezione di forza nella regione. Rinunciarvi senza garanzie sostanziali appare, quindi, altamente improbabile.

Più che una reale disponibilità a cedere, l’apertura ai colloqui potrebbe essere letta come una strategia dilatoria. L’Iran potrebbe cercare di guadagnare tempo, sperando in un cambio di amministrazione a Washington o in un allentamento della pressione internazionale. Questo atteggiamento, però, potrebbe scontrarsi con l’impazienza dell’amministrazione Trump, poco incline a prolungare trattative prive di risultati tangibili.

È anche possibile che Teheran accetti parzialmente alcune richieste statunitensi, ma adotti una strategia di attuazione lenta o selettiva, per non compromettere le proprie capacità nucleari. Una tattica che consentirebbe di contenere le tensioni senza rinunciare agli asset strategici più importanti.

In definitiva, l’avvio dei colloqui tra Iran e Stati Uniti riflette una fase critica per il regime iraniano, stretto tra le difficoltà economiche, la perdita di influenza regionale e le minacce militari. Sebbene un accordo sulla denuclearizzazione sembri lontano, la finestra diplomatica potrebbe offrire una tregua momentanea, utile a entrambe le parti. Tuttavia, la posta in gioco resta alta, e i mesi a venire saranno decisivi per comprendere se questo fragile avvicinamento potrà tradursi in una soluzione duratura o se si tratta soltanto di una pausa tattica in un confronto destinato a riaccendersi.


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