La Germania rompe il silenzio e riconosce il genocidio armeno


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di Bruno Scapini 

L’approvazione da parte del Parlamento tedesco della mozione sul riconoscimento del Genocidio armeno, certamente segna una svolta nell’approccio occidentale verso quell’efferato massacro condotto negli anni 1915/18 dalla Turchia ottomana ai danni del popolo armeno.

La Germania in tal modo rompe quel silenzio sul fatto storico che, alla luce dei più recenti risvolti delle relazioni intrattenute con Ankara, era stato percepito come omertoso, o per lo meno compiacente, nell’ottica di non turbare quell’ “amicizia” con la Turchia ritenuta indispensabile per parare la Germania dalle ondate di rifugiati.

Il “passo” è, dunque, importante. E non solo per la Germania, ma anche per tutti quegli altri Paesi in Europa e al di là dell’Atlantico – Stati Uniti in primis – che, subendo psicologicamente le minacce e i ricatti di Erdogan, continuano a differire nel tempo il riconoscimento di questo Genocidio quasi fosse la parola portatrice di chissà quale nefasto maleficio. Ma valutiamo meglio quanto accaduto al Bundestag.

Non v’è dubbio. I Parlamentari tedeschi devono aver avuto una buona dose di coraggio per lanciarsi in questa avventura politica con Ankara, resistendo alla coazione morale imposta dalle minacce di un Presidente turco che solo alla vigilia della sua elezione nel 2014 formulava – con buona dose di ipocrisia – le “ condoglianze” al popolo armeno vittima – a suo dire – di una deprecabile “fatalità” e non di un vero e proprio progetto di sterminio.

La Germania, col riconoscimento del Genocidio, viene così a porsi dal lato giusto della Storia. Ma con dei limiti. Innanzitutto lo fa per voce del Parlamento. Di una istituzione cioè che, per quanto di rilievo costituzionale, non può per sua natura assembleare, e sopratutto “sovrana”, implicare la diretta responsabilità di alcuno, e tanto meno di un membro del Governo. Inoltre, lo fa addossandosi essa stessa una parte di responsabilità etica per la alleanza intrattenuta con l’Impero Ottomano a quel tempo, ammettendola in modo quasi da smorzare il più grave effetto dirompente che una singolarizzazione del riconoscimento nei confronti della sola Turchia avrebbe potuto implicare.

Sarà, dunque, da vedere ora fin a che punto l’Esecutivo tedesco potrà spingersi nel fare propria la decisione del Bundestag nel più ampio contesto delle ritorsioni che da subito Ankara minaccia di attuare nei confronti di Berlino e della stessa Europa. Una situazione, questa, in fondo non dissimile da altre in tanti Paesi – non esclusa l’ Italia – in cui pur in presenza di atti parlamentari votati in favore del riconoscimento del Genocidio armeno, a livello di Governo si preferisce, però, omettere la …parola !

Ben conosciamo, comunque, l’importanza che il ruolo della Turchia viene oggi a rivestire nel farraginoso ambiente mediorientale e a fronte delle molteplici crisi e guerre che destabilizzano quella regione e il Mediterraneo. Ma al vaglio critico degli interessi contrapposti, appare chiaro come la necessità per l’ Europa di poter contare su una intesa con Ankara non sia di certo più forte di quella che Ankara avverte nel mantenimento di un collegamento con l’Europa. Nella teoria di eventi che hanno fino ad oggi caratterizzato l’evoluzione dei rapporti bilaterali tra Ankara e Bruxelles vi sono già state infatti “battute d’arresto” o altri episodi di intimidazioni da parte di Ankara, senza tuttavia che per questo le relazioni si siano deteriorate a un punto di “non ritorno“. Ankara richiamerà ora certamente il suo Ambasciatore per consultazioni. Probabilmente giocherà anche al rialzo della posta in gioco per la riaccoglienza dei rifugiati. Ma quasi sicuramente – e lo diciamo con certa soddisfazione – si vedrà slittare “sine die” la data di abolizione del visto Schengen per i cittadini turchi.

La mossa tedesca non è, dunque, riconducibile ad un mero atto moralistico, pur se doveroso. Essa conosce, per contro, anche un portato politico fondatamente inteso a ridimensionare quell’eccessivo slancio avuto da una Europa che, intimidita dalla imponenza dei flussi migratori, ha cercato nella vicina Turchia il rimedio più immediato, ma anche più pericoloso per la propria autonomia.

La decisione del Bundestag rimedia ora a questa squilibrata situazione e tenta di riportare Ankara nei giusti limiti del suo ruolo, inducendo il Presidente Erdogan non solo a contenere la propria arroganza comportamentale, ma anche a capire che l’ Europa puo’ – se vuole – porre le sue condizioni attendendosi un impegno politico della Turchia volto alla affermazione dei valori di democrazia e libertà civiche, e alla rimozione degli strumenti repressivi di cui Erdogan oggi si avvale per soffocare ogni dissenso interno al Paese e rafforzare al contempo quella preannunciata prospettiva riformistica concepita in senso autocratico e presidenzialista.

Non si intravvedono, pertanto, particolari reazioni da parte di Ankara, al di là di rituali dichiarazioni o di prese di posizione dirette a contestare la decisione del Bundestag. Gia’ una volta la Turchia, a fronte di una sospensione del processo di associazione con l’Europa, ebbe a rivedere il suo ruolo di potenza regionale rivolgendosi, in uno spirito panturanico, ai Paesi asiatici di affinità turcomanne. Ma senza successo per assenza di credibilità.

Oggi Ankara non sembrerebbe disporre in politica estera di alternative credibili: se si spingesse verso l’Oriente asiatico verrebbe certamente a scontrarsi con una Russia che non intende più cedere alcuna quota di influenza nell’area, se optasse per il Mediterraneo si vedrebbe sormontata da problematiche ben al di sopra delle sue forze e ruolo politico che non le consentirebbero di agire senza il sostegno occidentale, se si rivolgesse al suo stretto “vicinato” non troverebbe partner alcuno disposto alla cooperazione sussistendo una serie di critiche relazioni che si estendono dall’Armenia ai Paesi dell’area islamica di connotazione sciita come l’Iran. Se, infine, decidesse di ripiegarsi su se stessa per isolarsi in uno “splendido presidenzialismo” dovrebbe fare i conti con un dissenso crescente all’interno del Paese, nonché con le forze eversive di matrice curda che, peraltro disseminate in tutti i Paesi confinanti, costituirebbero di certo la sfida più rilevante per la tenuta dell’attuale regime di Erdogan.

Una reazione, dunque, di Ankara che andasse al di là di qualche misurata revisione di dosaggio relazionale o di esternazione di condanna non sembrerebbe al momento prevedibile. Auspicabile, per contro, sarebbe invece che altri Paesi oggi ancora titubanti nel procedere al riconoscimento del Genocidio armeno, traessero il giusto esempio dal Bundestag tedesco per fare altrettanto. Ma con il coraggio dei Governi a fare propria la mozione parlamentare per rompere definitivamente quel silenzio che ancora in alcune “contrade” dei nostri Paesi occidentali vergognosamente sopravvive.

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