(Raimondo Schiavone) – Il 4 aprile 1949 fu firmato il Patto Atlantico, che entrò in vigore il 24 agosto dello stesso anno, tra 12 Paesi fondatori: Belgio, Francia, Canada, Danimarca, Gran Bretagna, Stati Uniti, Portogallo, Norvegia, Lussemburgo, Olanda, Islanda e Italia. Tre anni più tardi aderì anche la Germania federale, Turchia e Grecia. Come è noto l’obiettivo dell’alleanza era la difesa collettiva, un fronte comune contro il potenziale pericolo sovietico.
Quando il trattato Nato fu firmato, il Presidente Truman disse che l’Alleanza «non solo puntava ad affermare la libertà dall’aggressione e l’uso della forza nella comunità del Nord-Atlantico, ma s’impegnava attivamente a promuovere e mantenere la pace nel mondo». Tale rimane l’aspirazione collettiva dei Paesi Nato.
Il Patto Atlantico traeva origine dalla percezione da parte dei Paesi dell’Occidente, al termine del secondo conflitto mondiale, che stessero cominciando tensioni nei confronti dell’altro Paese vincitore della guerra, l’Unione Sovietica, con i suoi Stati satellite.
Si trattava ed ancora oggi è una alleanza militare finalizzata alla difesa reciproca dei suoi aderenti, che in molti casi ha avuto anche la funzione di svolgere azioni di Pace in vari conflitti regionali, ma soprattutto fino alla caduta del muro di Berlino, in piena guerra fredda, ha svolto un ruolo di deterrenza nella contrapposizione con il Patto di Varsavia.
Uno degli articoli più conosciuti del Trattato è l’articolo 5, che prevede il principio di difesa collettiva, in base al quale, qualora uno dei Paesi aderenti all’alleanza venisse aggredito, esso viene considerato un attacco contro tutti.
“Le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o nell’America settentrionale, costituirà un attacco verso tutte, e di conseguenza convengono che se tale attacco dovesse verificarsi, ognuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall’art.51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’impiego della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale”.
Si tratta del cuore pulsante dell’intera alleanza oltre che di uno dei capisaldi della politica estera di gran parte delle nazioni occidentali. La Nato impone ai suoi membri la mutua difesa e da qui trae la propria forza.
Più di recente, la Nato si trova ad affrontare la minaccia del terrorismo. Quando gli Stati Uniti sono stati attaccati l’11 settembre 2001, la Nato ha invocato la clausola di difesa collettiva contenuta nell’Articolo 5, per la prima ed unica volta nella sua storia.
La Nato nonostante abbia a disposizione un ventaglio di strumenti, fra cui quello militare, con l’esercito più importante del pianeta, in quello che è un sempre più complesso scenario internazionale, l’Alleanza ha sempre privilegiato un approccio politico, civile e militare nella gestione delle crisi.
Nel 2019, la Nato celebra gli anniversari dell’adesione di alleati provenienti dall’Europa centrale e orientale, mentre accoglie nel 2020 la Macedonia del Nord come trentesimo alleato. In occasione del suo 70’ anniversario si afferma con forza che “ogni nuovo alleato ci rende più forti e la crescita delle capacità di difesa collettiva della Nato consente ai suoi membri di difendere meglio i propri cittadini e i loro alleati, salvaguardando la pace ed il benessere economico”.
Nonostante alcune dichiarazioni un po’ avventate, peraltro accentuate dalle considerazioni del Presidente Francese Macron, il Presidente degli Stati Uniti Trump, parlando a Varsavia nel 2017, afferma che «gli americani sanno che un’Alleanza forte di nazioni libere, sovrane e indipendenti costituisce la miglior difesa della nostra libertà e dei nostri interessi». L’impegno per la difesa collettiva dei nostri valori comuni e la sovranità dei Paesi membri sono le ragioni per le quali gli alleati hanno stabilito, nel 2014, di aumentare gli investimenti.
Spesso durante questa crisi pandemica che sta attanagliando gran parte del pianeta e, in modo violento, l’Italia, non per retorica, ma per gli effetti che essa sta producendo, è stato fatto un parallelismo con eventi bellici. Sono stati fatti parallelismi con situazioni sociali ed economiche nei periodi successivi ai conflitti militari della prima parte del ‘900.
Eppure l’Italia non ha invocato l’art 5 del trattato NATO, attaccata da un nemico invisibile, ma pur sempre un nemico, nelle fondamenta stesse della sua esistenza. No, il nostro Paese non si è appellato a quell’articolo del trattato che richiama la solidarietà dei Paesi membri.
Il nemico Covid-19 si e’ dimostrato ben più dirompente, sul piano degli effetti dell’attacco terroristico alle Torri gemelle, per il quale gli Stati Uniti, sì, per la prima volta nella storia, invocarono l’applicazione dell’art. 5 del trattato.
Un nemico invisibile che in Italia, ad oggi, ha già fatto più di 10 mila morti e probabilmente ne produrrà ancora altrettanti, subdolo quanto il nemico terroristico. Tanto invisibile questo, quanto l’altro è più dirompente sia sul piano della perdita di vite umane e sulla sicurezza dei cittadini che sull’economia dei Paesi.
Ma nei fatti quale è stata la risposta dei principali Paesi aderenti al Patto Atlantico verso l’Italia? In particolare i 12 fondatori che allo stesso hanno dato origine.
La risposta è stata nulla, anzi, per certi versi, quasi di palese abbandono. Si è partiti dalla chiusura delle frontiere, passando attraverso il blocco dei materiali sanitari, per arrivare ad diniego totale di aiuti economici e di supporto medico.
L’Italia si è trovata abbandonata dai suoi alleati storici, da alcuni persino derisa.
Mentre ha incontrato sulla strada della disgrazia la solidarietà fattiva di Paesi tradizionalmente “nemici”: Russia, Cina, Cuba. Persino quella di Paesi poveri quali l’Albania o di ex colonie come la Somalia. Non ci hanno inviato nè armi nè aerei, ma medici e prodotti sanitari per combattere il più grande nemico dei tempi moderni, un Virus.
Il parallelismo calza perfettamente. Quello del Covid19 è un vero e proprio attacco militare al nostro Paese, con perdita di vite umane, disastri sociali ed economici.
Il nemico non è un esercito di soldati, carri armati e aerei che depositano bombe, è un nemico moderno, subdolo ed infido, che si insinua nelle persone. È terrestre perchè figlio della dissolutezza umana ma è anche extra terrestre in quanto quasi inumano nel suo essere infido e pericoloso. Ci ha chiuso dentro le case, ci ha costretto ad un distanziamento sociale che neanche gli eventi bellici mondiali avevano prodotto. Ma è un nemico mostruoso che meritava d’essere combattuto con la solidarietà degli alleati. Invece l’Italia si è ritrovata sola a combattere, con l’ausilio di nuovi compagni di strada.
Tutto questo deve farci riflettere su cosa debba essere un’alleanza e forse proprio sul senso di questa alleanza.
L’egoismo dei Paesi l’aveva già incrinata, basta ricordare le disquisizioni fra Trump e Macron sul tema delle risorse, all’atto dell’insediamento del primo alla Casa Bianca. Di fatto la Turchia l’ha rotta con atti scellerati, in disarmonia con i Paesi sottoscrittori sulle vicende Siriane ma soprattutto su quelle Libiche. Dove di fatto l’Alleanza Atlantica ha dimostrato di non esistere, con posizionamenti militari dei Paesi membri su parti contrapposte. Per semplificare, Francia e Turchia a supporto del Generale Haftar e l’Italia dalla parte di Serraj, con gli Stati Uniti a guardare, o meglio, con posizioni subdole.
Bisogna fare una riflessione: tutto ciò è solo figlio dell’egoismo o nella dissoluzione di questa Alleanza c’è qualcosa di strategico? Un riposizionamento delle forze in campo nel pianeta, dove la prevalenza degli interessi è passata dalla forza militare a quella esclusivamente economica. Dove gli interessi geopolitici si sono trasformati, da aree di influenza politica ad aree di influenza economica, o meglio, per un verso, di tutela protezionista dei propri mercati interni e di aggressione egoistica dei nuovi.
Certo è che i mercati Asiatici e comunque orientali in genere sono diventati più competitivi, permeabili, numericamente cospicui e che ad essi è necessario guardare per riassestare l’economia nazionale, che ha bisogno di recuperare velocemente la sua propensione storica all’export e che ha bisogno di mercati dinamici ed aperti.
Dopo il Covid19 probabilmente sarà necessario ripensare allo strumento della Alleanza Atlantica e verificare se i vecchi amici siano ancora tali o se non ci siano altre strade da percorrere, nella logica di un interesse nazionale che diventa emergenziale, non tanto sul piano militare, ma su quello della tutela sanitaria e della salute economica del Paese.