La storia di Yara: giornalista siriana sopravvissuta ai terroristi nel silenzio dei media occidentali


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(Alessandro Aramu) – Una storia poco conosciuta in Italia (che abbiamo raccontato nel libro “Syria – Quello che i media non dicono”) è quella di Yara Saleh, la giornalista di una televisione siriana sequestrata l’11 agosto del 2012 da un gruppo di “ribelli” – che si definivano appartenenti all’ESL – e liberata dopo qualche giorno con un blitz delle forze speciali siriane.

Lei e la sua troupe, 4 persone in tutto, erano accusati di sostenere il governo siriano e per questo venne emanata una fatua per ucciderli tutti.  Yara era già stata rapita, e poi liberata, dai cosiddetti ribelli a Zabadani nel mese di febbraio e la sua emittente aveva subito un attacco nel corso del quale avevano perso la vita a 4 dipendenti.

I giornalisti del Centro Italo Arabo Assadakah hanno avuto la possibilità di intervistarla a Damasco un mese dopo la sua liberazione. Una storia che oggi è giusto ricordare perché Yara, a differenza di altri giornalisti, è riuscita a sopravvivere alla brutalità dei terroristi. A quel tempo il mondo li considerava rivoluzionari che volevano portare la democrazia in Siria. Nessuno poteva accettare l’idea che fossero solo ed esclusivamente “terroristi”. Chi li definiva tali, veniva considerato un pazzo e persino censurato. Per questa ragione il rapimento di Yara e la sua liberazione furono oscurati dal sistema mediatico occidentale.

“Per primo è toccato ad Hatem Abou Vehia – ha raccontato Yara – che è stato barbaramente crivellato con 60 proiettili. La sua principale colpa era di avere la bandiera della Siria nel telefonino. Sono stati picchiati, insultati, tenuti in stato di privazione, hanno bestemmiato loro e le loro famiglie e Haballah Tabara è stato costretto, lui cristiano, a pregare come un islamico”. Il quarto sequestrato era Houssam Imad e nei suoi occhi si poteva leggere ancora il terrore di quei momenti. Yara e i suoi colleghi sono stati liberati dopo 6 giorni dall’Esercito governativo che ne ha individuato la posizione intercettandone le comunicazioni e salvando loro la vita.

Lei, Yara, è volitiva e le violenze non hanno intaccato minimamente le sue convinzioni, anzi. Tornata subito a lavoro ha lanciato un appello al mondo occidentale: ”Non si deve credere a quanto ci raccontano i media di parte, ma usare la logica per arrivare alla verità. Questa guerra non è politica né religiosa, ma solo di potere e fomentata da stati, come Turchia, Qatar e Arabia Saudita, che vogliono solo spartirsi le spoglie della Siria- La religione è uno degli strumenti e i cristiani vittime predestinate”.

Appello ignorato da tutti, a partire dai giornalisti occidentali che, con i loro articoli, hanno spesso sostenuto e persino alimentato il fondamentalismo, e oggi invece invocano la libertà di stampa.

In un video diffuso dai rapitori su Youtube nel corso del rapimento, la giornalista di Syria News appariva, contrariamente alle sue abitudini, vestita con un abito tradizionale e il velo, assieme al cameraman ed al fonico. Nel filmato, Yara Saleh lanciava gravi accuse al regime “per le violenze perpetrate nel Paese dalle forze lealiste, fedeli al presidente Bashar al Assad, che stavano mettendo a ferro e fuoco la Siria nel tentativo di sedare la guerra civile”. Parole estorte con la violenza e sotto la minaccia della morte che i ribelli dell’ESL intendevano utilizzare per screditare Assad.

Oggi Yara continua a vivere in Siria e a fare la giornalista, come dice lei, “al servizio della verità e contro le menzogne dei governi occidentali”.

Dall’inizio della crisi, numerosi giornalisti (siriani e non) sono stati uccisi a sangue freddo dagli insorti, solo perché trasmettevano immagini scomode, come quelle di uomini e donne che si rifiutavano di diventare scudi umani nelle mani degli oppositori di Assad. Questi gruppi terroristi, come quello che ha rapito la giornalista della televisione siriana, sono stati finanziati dalle monarchie del Golfo, dagli Stati Uniti, dall’Europa e dalla Turchia, il cui principale obiettivo in questi anni è stato disinformare l’opinione pubblica mondiale.

Non tutti sono stati fortunati come Yara Saleh. Nel maggio del 2013, Yara Abbas, una giovane giornalista del canale ‘all news’ Al Ikhbariya viene uccisa dai terroristi nei pressi di Qusayr, nell’ovest del paese, città al confine con il Libano dove da settimane imperversava la battaglia tra i ribelli e l’esercito di Bashar al-Assad. La tv, nell’annunciare la morte della reporter, parlò di “martirio”. I media italiani hanno dedicato soltanto poche righe a questa notizia. Dall’ Ordine dei Giornalisti e FNSI, che sono scesi in piazza in questi giorni per difendere la libertà di espressione dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo in Francia, non giunse nessuna reazione. Evidentemente per queste organizzazioni ci sono giornalisti di serie A e altri di serie B.

Poche righe anche per la morte di un giornalista, un cameraman e un tecnico al-Manar, la tv di Hezbollah, uccisi dai miliziani di al Nusra (ramo di al Qaeda in Siria) mentre stavano lavorando nel villaggio cristiano di Maalula, a nord di Damasco, nell’aprile del 2014. Dopo che l’esercito siriano aveva ripreso il controllo zona, la troupe della tivù si era potuta introdurre in città, dove però erano ancora presenti i miliziani jihadisti armati.

Anche per loro, come tanti altri giornalisti trucidati in Siria, nessuna manifestazione in piazza, nessun commento, nessun tipo di solidarietà.

Per loro nessuna matita infilata nel taschino e neppure un fiore.

Loro non erano Charlie Hebdo.

 

(twitter@AleAramu)

 

Alessandro Aramu (1970). Giornalista, direttore della Rivista di geopolitica Spondasud. Autore di reportage sulla rivoluzione zapatista in Chiapas (Messico) e sul movimento Hezbollah in Libano, ha curato il saggio Lebanon. Reportage nel cuore della resistenza libanese (Arkadia, 2012). È coautore dei volumi Syria. Quello che i media non dicono (Arkadia 2013) e Middle East. Le politiche del Mediterraneo sullo sfondo della guerra in Siria (Arkadia Editore 2014). Fa parte del Centro Italo Arabo Assadakah ed è vicepresidente nazionale del Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria.)

 

 

 

 

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