La Tunisia è di nuovo sull’orlo del baratro: sindacato contro il governo


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La situazione attuale in Tunisia è “pericolosa” in quanto “la crisi politica e la confusione del governo minacciano la stabilità socio-economica del paese e impediscono lo sviluppo”. E’ quanto si legge in un comunicato diffuso dall’Unione generale del lavoro (Ugtt), la principale organizzazione sindacale del paese, al termine di una riunione del consiglio di amministrazione.

Il sindacato ha detto che “l’impotenza” e “il silenzio” del governo davanti alla crisi hanno creato una situazione di insicurezza tra i lavoratori. L’Ugtt ha inoltre sottolineato la necessità di rispettare le scadenze, gli accordi e gli impegni su molte questioni, a cominciare dalla crisi del settore sanitario a Sfax. Il sindacato ha peraltro invitato l’Unione dell’industria e dell’artigianato (Utica) a firmare gli accordi sugli aumenti salariati del settore privato nel più breve tempo possibile.

Infine, l’Ugtt ha esortato il governo ad avviare dei negoziati sul salario minimo per sostenere classi deboli che stanno soffrendo in questo momento un considerevole calo del loro potere d’acquisto. Malgrado gli sforzi compiuti dall’attuale governo, lo scenario generale risulta piuttosto sconfortante, in quanto lo Stato rimane debole e in assenza di nuove linee di sviluppo, col dilagare di una classe politica corrotta, ancorata alle decisioni del mondo liberale con conseguenze drastiche sull’economia del paese.

Insomma, la Tunisia è di nuovo sull’orlo del baratro, con una classe dirigente incapace di dare una risposta al sentimento di ingiustizia dinanzi al fenomeno della disoccupazione, in particolare tra i giovani laureati. Il governo attuale, guidato da Habib Essid, è responsabile di una politica di emarginazione nei confronti dei giovani. Per non parlare della situazione in cui si trovano le province e le aree povere, private storicamente di investimenti e di progetti di sviluppo e oggi non più disponibili ad accettare passivamente l’inerzia e la confusione del governo. 

Nell’ultimo periodo, come ha ricordato lo scrittore tunisino Taoufiq al-Madini su Al-Araby al-Jadeed, la Tunisia ha testimoniato una forte mobilitazione sociale che ha interessato l’intera nazione e che ha spinto i cittadini a manifestare per assicurare lavoro ai giovani disoccupati e approvare un nuovo piano di sviluppo, soprattutto nelle aree più emarginate.

“Tali proteste sociali sono aumentate giorno dopo giorno, soprattutto in seguito allo sciopero generale indetto nelle isole Kerkennah che il governo ha tentato di sedare con violenza. Alla mobilitazione nelle isole è seguita la rivolta nella città di Le Kaf, nella parte nord occidentale della regione, fino a raggiungere le altre città tunisine – tra cui Sidi Bouzid o Kasserine – accomunate dalla medesima richiesta: il diritto all’occupazione e all’eguaglianza nella distribuzione della ricchezza”.

“Il governo tunisino è stato accusato di essere incapace di ascoltare le esigenze degli isolani e di altre città povere, delusi di una rivoluzione che non è riuscita a cambiare la loro condizione. Infatti, – continua l’analisi dello scrittore tunisino – gli abitanti si sono ritrovati nella medesima situazione di emarginazione, disordine, disoccupazione e assenza di servizi. A questo si aggiunge l’accusa contro il fallimento dei governatori locali di gestire la crisi in corso, la mancanza di iniziativa e attuazione di soluzioni intente ad affrontare la questione del lavoro o l’incapacità degli stessi a negoziare o cooperare con le fazioni di protesta. 

Una serie di accuse che sono ritornate nelle parole del sindacato, preoccupato per una crisi sociale ed economica che rischia di far ripiombare la Tunisia nel caos. L’unico paese nel quale si può parlare di successo nel generale fallimento delle cosiddette primavere arabe si trova, dunque, a un bivio: una vera svolta oppure lo spettro di uno nuova rivoluzione. Il premio nobel per la pace sembra lontano anni luce e il clima di concordia nazionale che ha caratterizzato l’ultimo scorcio della vita politica nazionale sembra anch’esse relegato nel passato. Un terreno fertile per il terrorismo che oggi, più che mai, spera di sfruttare il clima di tensione che regna nel paese. Il baratro, come si dice in questi casi, è davvero dietro l’angolo.

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