La verità raccontata da Havin Güneşer sulla violenza dell’ISIS


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(Simona Deidda) – La situazione in Medio Oriente e l’avvento dell’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria), ribattezzato semplicemente IS (Stato Islamico), rappresenta uno dei temi di particolare attenzione mediatica e politica degli ultimi mesi. Non solo il Medio Oriente e il Kurdistan, direttamente interessati agli attacchi dei miliziani islamici, focalizzano la loro attenzione sulla questione, ma tutto il mondo ha voltato il suo sguardo a questa nuova guerra in corso. Anche la Sardegna, con diverse iniziative, incontri e seminari ha voluto approfondire la situazione. È di questo che si è parlato nell’incontro tenutosi a metà settembre nell’aula magna dell’ex facoltà di Scienze Politiche di Cagliari, con la presenza di Havin Güneşer, saggista ed esponente dell’Associazione per i Diritti Umani in Anatolia, una delle responsabili dell’iniziativa internazionale “Freedom for Abdullah Öcalan- Peace in Kurdistan”.

Nonostante l’opinione pubblica si sia focalizzata in modo particolare sulla violenza subita dalla minoranza Yezidi nel Sinjar, sono diversi i massacri e le violenze compiute dai miliziani nei confronti della popolazione dell’area. Sono soprattutto le minoranze non musulmane a essere attaccate con l’imposizione della conversione, pena l’uccisione. I soggetti vulnerabili, e in particolare donne e bambini, sono i principali obiettivi delle milizie dell’IS, sequestrati e venduti al mercato nero come schiavi o scambiati con altre bande e usati come spose all’interno delle basi.

L’instabilità della regione ha dato maggiore enfasi alle aspirazioni nazionalistiche curde che, mai come in questo momento, possono dimostrare la volontà e le capacità acquisite negli anni. Sono, infatti, i combattenti curdi in prima fila nella lotta contro lo Stato Islamico. I peshmerga (miliziani curdi dell’Iraq) hanno iniziato a scavare trincee e innalzare barricate che vanno oltre i confini del KRG, la regione autonoma assegnata alla comunità curda. D’altra parte è la stessa minoranza curda a spaventare, particolarmente, i paesi vicini, come la Turchia che, tramite il suo presidente della Repubblica, ex primo ministro, Erdoğan, ha reso nota la sua ferma opposizione all’indipendenza dei curdi in Iraq. Ed è proprio la Turchia, uno dei principali finanziatori dell’IS a prendere parte al cosiddetto “gruppo dei volenterosi”, assieme a USA, GB, Francia, Italia, Polonia, Germania, Danimarca, Australia e Canada a decidere di sostenere i peshmerga curdi e bombardare i territori assediati dalle milizie islamiche.

Ma cosa si cela dietro queste intenzioni? In realtà i principali paesi finanziatori dell’IS, tra cui Arabia Saudita e Turchia hanno da sempre inviato aiuti finanziari e materiali alle bande armate con l’obiettivo di far cadere il governo siriano di Bashar al-Assad. La Turchia ha lasciato, infatti, piena libertà di movimento a queste bande entro i suoi confini, permettendo l’ingresso in Siria senza alcun controllo sperando che le bande IS rovesciassero Assad e aiutassero la creazione di un nuovo governo siriano il più vicino possibile, ideologicamente, al governo di Ankara. In realtà, nessuno si aspettava l’evoluzione della situazione, soprattutto l’attacco diretto contro la minoranza curda.

È proprio il ruolo della minoranza curda che suscita particolare attenzione durante gli incontri e sulla quale si focalizzano le parole di Havin Güneşer. La contrapposizione, da sempre esistente, nelle fazioni di Barzani e Talabani tra i curdi iracheni, così come la contrapposizione tra questi e le altre zone curdofone di Siria e Turchia riemergono in questa faccenda. Infatti, mentre i peshmerga curdi-iracheni, alleati da sempre agli USA, sostengono di essere in prima fila nella lotta contro l’IS, dall’altra parte si schierano le forze curde del Rojava (Kurdistan autonomo di Siria), in particolare le HPG (Forze di difesa del popolo), strettamente alleate al PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), inserito dagli inizi del secolo dagli USA nella lista delle organizzazioni terroristiche. HPG e PKK accusano i peshmerga di essere responsabili di quanto accaduto nel Sinjar dove, dopo una promessa di protezione alla popolazione locale, hanno battuto in ritirata lasciando libertà di azione ai miliziani islamici, e si oppongono all’invio di armi e aiuti da parte di USA, Europa e NATO sostenendo che il tutto potrebbe facilmente passare nelle mani delle bande IS.

In tutto ciò, ancora una volta, i curdi mettono in primo piano la figura di Apo, in curdo “zio”, il loro leader Öcalan, in prigione dal febbraio 1999. Una figura carismatica, quasi idealizzato e santificato dai suoi seguaci che, dal carcere, continua a guidare la lotta curda. Una lotta che sino a qualche anno fa è stata armata, ma alla quale, ora, si affianca un impegno politico importante, sia nel processo di pace in corso in Turchia tra lo stesso Öcalan e il governo di Ankara, sia nell’attuale situazione che vede coinvolto i Kurdistan nella sua totalità.

A 4 mesi dal primo attacco delle bande IS, siamo ancora in attesa di capire quali sono le mosse necessarie per combattere questa nuova forza scesa in campo. USA, Europa e NATO ripropongono la solita tattica di raid aerei, attacchi e bombardamenti generalizzati, in pieno disaccordo con la popolazione e i governi locali e venendo meno alle norme di diritto internazionale. D’altra parte, i curdi che combattono via terra le milizie dell’IS chiedono, invece, aiuti finanziari e soprattutto umanitari per la popolazione in fuga, la cancellazione del PKK dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche affinché possano intervenire legalmente nella lotta contro i miliziani dello Stato Islamico e si dia modo ai combattenti del Rojava di ottenere aiuti militari. Infine, chiedono la liberazione del leader Öcalan che potrebbe essere una figura decisiva nelle trattative per la pacificazione del Medio Oriente. Non sarebbe, forse, meglio questa volta ascoltare le parole di coloro che combattono in prima linea?

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