L’ANALISI/ Cosa ci racconta il caso di al-Faluja sui rischi tossici a Gaza e in Libano


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I residui tossici della guerra compromettono la salute non solo di chi è stato esposto direttamente, ma anche delle generazioni future. Negli ultimi mesi, migliaia di persone sono tornate nelle loro case a Gaza, in Libano e in Siria, dove hanno dovuto affrontare minacce legate a ordigni inesplosi, scarsità di acqua, cibo e rifugi sicuri. Molti si sono trovati costretti a maneggiare le macerie della guerra, esponendosi a rischi sanitari a lungo termine.

Una nuova ricerca condotta ad al-Faluja, in Iraq, pubblicata oggi dal progetto Costs of War della Brown University, rivela quanto possano essere pericolose queste macerie. A due decenni dall’invasione statunitense dell’Iraq e quasi dieci anni dopo l’occupazione di al-Faluja da parte del gruppo ISIL (ISIS), gli effetti sanitari persistono. I campionamenti ossei effettuati dal nostro team attraverso spettrometria a fluorescenza a raggi X hanno rilevato la presenza di uranio nelle ossa del 29% dei partecipanti allo studio, mentre il piombo è stato riscontrato nel 100% dei casi, con livelli del 600% superiori rispetto alla media di coetanei statunitensi. In un adulto sano, la presenza di uranio nelle ossa dovrebbe essere nulla.

Metalli pesanti come piombo e uranio possono causare gravi danni allo sviluppo neurologico, alla salute cardiovascolare e agli esiti delle gravidanze. Quando ISIL (ISIS) occupò al-Faluja nel 2014, una delle partecipanti allo studio, Reina (nome di fantasia), riuscì a fuggire con la famiglia verso la più sicura regione curda del nord Iraq. Durante la loro assenza, i combattenti utilizzarono la loro casa come deposito di armi, e l’intero quartiere venne bombardato dagli aerei militari iracheni e statunitensi.

Tornata due anni dopo, durante il primo trimestre di gravidanza, Reina ripulì da sola le macerie della casa, inalando polveri tossiche provenienti da cemento, residui di munizioni e materiali bruciati.

Suo figlio nacque nel 2017 con una malformazione congenita. Come molte altre famiglie rientrate ad al-Faluja, Reina ha dovuto affrontare i rischi sanitari differiti legati alla bonifica post-bellica. Nonostante abbia ricostruito la casa, il dubbio persiste: “Non so se la casa ci sta ancora facendo ammalare”, ci ha raccontato.

I suoi timori sono fondati. Le aree più pesantemente bombardate della città presentano tuttora livelli elevati di metalli pesanti nel suolo. Ma i bombardamenti non sono stati l’unica fonte di tossicità per la popolazione.

Durante la riduzione della presenza militare statunitense in Iraq, grandi quantità di equipaggiamenti e armi furono bruciate in cosiddette “burn pits”, che diffusero fumi tossici nelle aree abitate. È documentato che questi fumi causarono seri problemi di salute tra i veterani statunitensi, pur essendo stati esposti solo per brevi periodi.

La storia di Reina, come quelle di migliaia di altri, contiene lezioni importanti per chi sta tornando a Gaza, in Libano e in Siria. Una delle principali osservazioni del nostro studio, guidato dai medici Samira Alaani e Abdulqader Alrawi ad al-Faluja, e coordinato da Kali Rubaii della Purdue University, è che coloro che rientrano per primi nelle aree devastate dalla guerra e avviano la ricostruzione affrontano un rischio maggiore di danni alla salute riproduttiva.

I figli di uomini e donne coinvolti direttamente nella bonifica post-bellica potrebbero presentare un’incidenza maggiore di anomalie congenite o esiti negativi alla nascita, rispetto a chi è tornato successivamente o non ha partecipato alle operazioni. Ciò è dovuto probabilmente all’inalazione di sostanze tossiche derivanti da munizioni esplose, materiali bruciati, diossine e polveri varie, in quantità molto superiori rispetto a chi è tornato quando le strutture erano già state ricostruite.

L’aumento di anomalie alla nascita a Fallujah è stato associato all’esposizione alle armi da guerra, così come altri picchi rilevati in malattie oncologiche precoci e problemi respiratori.

Una seconda osservazione riguarda le difficoltà nutrizionali affrontate dalle famiglie sfollate che rientrano e si ristabiliscono: queste lacune alimentari possono aggravare i rischi sanitari, anche per le generazioni future. La bonifica post-bellica spesso mette in contatto corpi malnutriti con materiali pericolosi; l’assenza di nutrienti essenziali riduce la capacità del corpo di reagire alle tossine, aumentando i danni alla salute riproduttiva. Ad esempio, durante il primo trimestre, un apporto insufficiente di folati può causare difetti del tubo neurale nel feto. I metalli pesanti contenuti nelle macerie possono interferire con le vie metaboliche dei folati nelle donne incinte.

I modelli osservati nella sanità pubblica di Fallujah sono probabili anche in altre città duramente bombardate, dove i rientrati dovranno affrontare il doppio fardello della violenza militare: non solo morti, mutilazioni, sfollamenti e perdite, ma anche effetti sanitari intergenerazionali ancora da manifestarsi.

Senza dubbio, il modo più efficace per ridurre la tossicità da metalli pesanti è evitare il bombardamento delle città. Ma quando ciò accade, esistono misure che possono limitare i danni sanitari derivanti dall’esposizione tossica.

In primo luogo, alle popolazioni in zone di guerra non dovrebbe mai mancare un’alimentazione adeguata e acqua potabile sicura.

In secondo luogo, ONG internazionali, istituzioni sanitarie, cliniche locali e radio regionali dovrebbero diffondere informazioni su come i rientrati possono tutelare la propria salute.

Ad esempio, è essenziale che chi rientra indossi mascherine o sciarpe per ridurre l’inalazione di particelle sottili durante le attività di pulizia e ricostruzione. Seppellire i rifiuti anziché bruciarli può limitare l’esposizione alle tossine. E durante la gravidanza o quando si cerca di concepire, è bene che le donne evitino di partecipare alle attività che producono polvere.

Inoltre, le vitamine C e D – tramite alimenti o integratori – possono ridurre l’assorbimento e il rilascio di metalli pesanti accumulati nelle ossa. Le donne nel primo trimestre o che cercano una gravidanza dovrebbero avere priorità nell’assunzione di alimenti ricchi di folati – come spinaci, broccoli, riso fortificato, grano arricchito – o integratori di acido folico (vitamina B9), quando disponibili.

Questi sono alcuni dei modi, seppur limitati, per mitigare i danni derivanti dall’esposizione post-bellica e proteggere le generazioni future.

Nel frattempo, l’unico vero modo per proteggere le comunità dai danni sanitari a breve e lungo termine della guerra resta l’impegno collettivo e attivo nel prevenire i bombardamenti militari.

Kali Rubaii
Professoressa associata di Antropologia presso la Purdue University (USA) e responsabile del Parts Per Million Project sugli effetti ambientali della guerra sulla salute.

Mark Griffiths
Docente di Geografia Politica presso la Newcastle University (Regno Unito) e direttore del War and Geos Project sull’eredità ambientale del militarismo.

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