L’ANALISI/ La crisi siriana ha bisogno di un nuovo approccio europeo


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La guerra in Siria si appresta ad entrare nel sesto anno. Anche il 2016 si apre come i precedenti: nuovi morti e distruzione ovunque. La prima settimana del 2016 si è aperta con la crisi umanitaria a Madaya, un villaggio di circa 20mila persone, sotto il controllo di gruppi jihadisti che hanno affamato la popolazione sottraendo gli aiuti umanitari che in questi mesi sono arrivati in città, come ha testimoniato il portavoce della Croce Rossa e l’esclusivo reportage dell’emittente Russia Today. Se da una lato la comunità internazionale è impegnata ad intensificare gli interventi militari in Siria, dall’altro la comunità europea non è riuscita a trovare azioni diplomatiche e iniziative in grado di far uscire il paese da una crisi profonda e che ancora oggi appare senza via d’uscita.

La prima fase della guerra in Siria è stata caratterizzata dalla dura condanna dei principali paesi europei, Francia in testa, contro il presidente Assad. A essa sono seguite pesanti sanzioni che hanno colpito in primis la popolazione civile. Le sanzioni sulle esportazioni del petrolio verso l’Europa hanno avuto pesanti conseguenze sulle finanze dello Stato siriano, privato di buona parte dei suoi proventi. Nel frattempo la Francia ha disconosciuto il governo di Bashar al Assad a favore del Free Syrian Army, opposizione armata sul campo ma anche interlocutore politico al quale attribuire una parte delle sorti del paese.

La situazione iniziale di stallo si è aggravata con l’avvento dello Stato Islamico come fattore di destabilizzazione. Il fallimento dell’esperienza militare in Libia è uno dei fattori che può spiegare le ragioni per cui la comunità occidentale non ha tentato di intervenire in Siria, anche di fronti a gravi violazioni dei diritti umani.

Ancora più importante è il disaccordo all’interno dell’Unione Europea sul ruolo di Assad in Siria. Il presidente francese Hollande, infatti, si oppone fermamente a qualsiasi coinvolgimento del presidente  nel processo di pace, mentre la Germania non esclude la possibilità di una presidenza di transizione nelle mani di Assad, anche se congiuntamente alle fazioni “moderate” dell’opposizione. Questa divisione tra gli stati guida del vecchio continente ha impedito lo sviluppo di eventuali proposte comuni dell’Europa sul processo di pace, proposte che se avanzate avrebbero certamente sortito degli effetti.

L’errore dell’Europa è quello di abbandonare le iniziative di pace per un pregiudizio – se non un vero e proprio disprezzo – nei confronti del legittimo presidente Assad. Una proposta di pace che contempli la rimozione immediata del governo siriano in carica sarebbe infatti destinata a fallire in luce dell’opposizione di Russia e Cina. Per quanto ovvio possa apparire, l’accordo della comunità internazionale e dell’Europa queste due potenze, entrambi titolari di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza, è essenziale per assicurare un’azione diplomatica in Siria sponsorizzata dalle Nazioni Unite.

Il prolungarsi della guerra in corso non può che aggravare la situazione dei rifugiati, con sempre più persone che saranno costrette a lasciare la Siria. Le stime dei nuovi rifugiati in Europa nel 2016 sono di circa  1,5 milioni, una cifra di molto superiore a quella del 2015. Per l’Unione Europea, dunque, vi è la necessità di superare le divisioni interne e di trovare delle soluzioni concrete per risolvere la crisi in corso- Questo comporta l’esigenza di muoversi nella direzione di un processo di pace che sia globale e non solo geograficamente limitato alle aree di crisi.

Nel breve termine, l’Unione Europea dovrebbe continuare con la sua tradizione umanitaria, aiutando e non inasprendo la situazione di un paese in ginocchio. La situazione umanitaria in Siria è, infatti, molto critica, in parte a causa della mancanza di finanziamenti da parte della comunità internazionale che ha chiuso i rubinetti a Damasco e in parte per un numero sempre crescente di persone che necessitano di aiuti. Gli Stati membri dell’Unione Europea possono giocare una partita importante sul versante umanitario, possedendo una capacità economica in grado di aiutare un paese lacerato. La consegna di aiuti umanitari determinerebbe la fine della sofferenza per milioni di persone. Non è certamente una soluzione in grado di portare una pace vera ma avrebbe effetti benefici sulla popolazione siriana in attesa di una soluzione politica e diplomatica che porti alla cessazione delle ostilità tra le parti.

In alcuni paesi, come la Danimarca, sono in crescita coloro che vorrebbero impedire il massiccio arrivo in Europa. Dopo i fatti di Colonia, anche la Germania si interroga sulle politiche di accoglienza decise dalla Cancelliera Angela Merkel. Sono solo due esempi. Questa situazione offre ai paesi europei una grande opportunità per agire dopo anni di relativa passività. L’aiuto alla Siria, se condotto su larga scala, servirà a stabilizzare una regione fragile e ad alleviare le sofferenze di milioni di siriani residenti in queste aree, fermando la crescita di gruppi estremisti alimentata proprio dalla presenza massiccia di profughi in queste aree.

Sotto questo profilo sono molte le carte che l’Europa può giocare per un approccio progressista alla crisi siriana e nella direzione di un accordo di pace serio e duraturo. L’UE può contare su due seggi permanenti nel Consiglio di Sicurezza: ciò gli conferisce una posizione di potere nel processo decisionale delle Nazioni Unite. L’Europa può avere un ruolo decisivo nel mettere assieme tutti questi pezzi, con un approccio comune di pace che riunisca gli Stati membri con Russia e Cina. Infine, se l’Europa parlasse con una sola voce saprebbe essere così  convincenteagli occhi del mondo da raccogliere consensi intorno a un’iniziativa caratterizzata dai principi della democrazia e della difesa delle libertà e dei diritti umani.

 

Traduzione per Spondasud di Stefano Levoni 

Con fonte Al Masdar News

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