(Paola Di Lullo) – Se ne parla da tanto, forse da così tanto che l’abbiamo dimenticato. Forse siamo stati sopraffatti dalle immagini che giungevano da Gaza, la scorsa estate, dalle violenze e quotidiane violazioni in Cisgiordania. Forse, tra le tane notizie, l’abbiamo accantonata. La riproponiamo oggi, perché non tutti sanno che “il 27 settembre 2000 (e dopo un po’ inizierà la seconda intifada), da un peschereccio il leader palestinese, Yasser Arafat, con un walkie talkie, parla con la squadra del British Gas Group ( BGG ), e “inaugura” il pozzo: «Sono il presidente Arafat. Via! E buona fortuna a tutti noi». Una lunga lingua di fiamma annuncia l’avvio dello sfruttamento di un vasto giacimento di gas nel sottosuolo coperto da seicento metri di mare, dopo sei mesi di trivellazioni condotte dal Bgg. Attorniato da una settantina di imprenditori e giornalisti, l’allora settantunenne capo palestinese lancia un messaggio di speranza e di fiducia per le opportunità che offre l’importante scoperta. «È un dono del Signore per il nostro popolo, per i nostri figli», dice Arafat.”
Per capire qual è uno degli obiettivi dell’attacco israeliano a Gaza bisogna andare in profondità, esattamente a 600 metri sotto il livello del mare, 30 km al largo delle sue coste. Qui, nelle acque territoriali palestinesi, c’è un grosso giacimento di gas naturale, Gaza Marine, stimato in 30 miliardi di metri cubi del valore di miliardi di dollari. Altri giacimenti di gas e petrolio, secondo una carta redatta dalla U.S. Geological Survey (agenzia del governo degli Stati uniti), si trovano sulla terraferma a Gaza e in Cisgiordania.
Nel 1999 Arafat aveva firmato con un consorzio costituito da British Gas Group e da Consolidated Contractors International Company, società palestinese con sede ad Atene, un accordo di 25 anni per l’esplorazione di riserve di gas nelle acque marine palestinesi. Grazie alla trivellazione di due pozzi, Gaza Marine 1 e Gaza Marine 2, sono state scoperte vaste riserve di gas naturale, per un valore stimato di trenta miliardi di metri cubi. Altri giacimenti di gas e petrolio, secondo una carta redatta dalla U.S. Geological Survey si trovano sulla terraferma, a Gaza e in Cisgiordania. Gaza Marine 1 e Gaza Marine 2 non sono mai entrate in funzione.
Israele, che dovrebbe essere il principale acquirente del gas palestinese, non solo pretendeva che fossero applicati i propri prezzi, stracciati, ma in realtà non ha mai voluto raggiungere alcun accordo, temendo che i profitti del gas possano irrobustire la posizione dei palestinesi. Timore che si rafforza quando nel 2006 Hamas vince le elezioni e assume il controllo di Gaza. Hamas rigetta l’intesa siglata da Arafat e chiede una revisione di come sono stati condotti gli accertamenti delle riserve. Nel 2007, l’attuale ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon avverte che «il gas non può essere estratto senza una operazione militare che sradichi il controllo di Hamas a Gaza».
Nel 2008, Israele lancia l’operazione Cast Lead contro Gaza, nel 2012 Pillar of Defense. Nel settembre 2012 l’Autorità Palestinese annuncia che, nonostante l’opposizione di Hamas, ha ripreso i negoziati sul gas con Israele. Due mesi dopo, l’ammissione della Palestina all’Onu quale «Stato osservatore non membro» rafforza la posizione dell’Autorità palestinese nei negoziati. Gaza Marine resta però bloccato, impedendo ai palestinesi di sfruttare la ricchezza naturale di cui dispongono. Intanto, tra il 2009 ed il 2010, Israele scopre due giacimenti di gas nelle sue acque territoriali, Tamar e Leviathan, che dovrebbero consentire l’agognata indipendenza energetica. Ma solo tra un paio d’anni le riserve potranno essere sfruttate. Inoltre, diversamente dalle prime valutazioni, esse non sono cospicue e sono destinate a esaurirsi nel giro di neppure quarant’anni. Dunque, il gas palestinese continua a essere un fattore strategico per il futuro energetico di Israele.
Il 23 gennaio 2014 l’Autorità Palestinese imbocca un’altra strada. Nell’incontro tra il presidente palestinese Abbas col presidente russo Putin, viene discussa la possibilità di affidare alla russa Gazprom lo sfruttamento del giacimento di gas nelle acque di Gaza. Lo annuncia l’agenzia Itar-Tass, sottolineando che Russia e Palestina intendono rafforzare la cooperazione nel settore energetico, con un investimento di 1000 milioni di dollari. In tale quadro, oltre allo sfruttamento del giacimento di Gaza, si prevede quello di un giacimento petrolifero nei pressi della città palestinese di Ramallah in Cisgiordania. Nella stessa zona, la società russa Technopromexport è pronta a partecipare alla costruzione di un impianto termoelettrico della potenza di 200 MW.
La formazione del nuovo governo palestinese di unità nazionale, il 2 giugno 2014, rafforza la possibilità che l’accordo tra Palestina e Russia vada in porto. Dieci giorni dopo, il 12 giugno, avviene il rapimento dei tre giovani israeliani, che vengono trovati uccisi il 30 giugno: il puntuale casus belli che innesca l’operazione Protective Edge contro Gaza. Operazione che rientra nella strategia di Tel Aviv, mirante a impadronirsi anche delle riserve energetiche dell’intero Bacino di levante, comprese quelle palestinesi, libanesi e siriane, e in quella di Washington che, sostenendo Israele, mira al controllo dell’intero Medio Oriente, impedendo che la Russia riacquisti influenza nella regione. Una miscela esplosiva, le cui vittime sono ancora una volta i palestinesi.