Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno segnato un punto di svolta nella politica estera degli Stati Uniti, inaugurando quella che George W. Bush definì la “Guerra al Terrore”. Le operazioni militari successive, in Afghanistan e Iraq, non solo hanno trasformato la geopolitica mondiale, ma hanno anche lasciato cicatrici profonde nei paesi coinvolti, sollevando accuse di crimini di guerra, abusi e gravi violazioni dei diritti umani.
L’invasione dell’Afghanistan: un conflitto senza fine
Il 7 ottobre 2001, meno di un mese dopo gli attentati, gli Stati Uniti avviarono l’Operazione Enduring Freedom, giustificata come un intervento necessario per eliminare al-Qaida e rovesciare il regime talebano che dava loro rifugio. L’invasione iniziale, sostenuta da un’ampia coalizione internazionale, portò rapidamente alla caduta del governo talebano. Tuttavia, ciò che sembrava una vittoria iniziale si trasformò in un conflitto lungo due decenni.
Le accuse principali mosse contro gli Stati Uniti riguardano gli attacchi indiscriminati condotti con droni e bombardamenti, che spesso hanno causato vittime civili. Secondo il Watson Institute della Brown University, circa 47.245 civili afghani sono morti tra il 2001 e il 2021 a causa della guerra. Gli attacchi con droni, in particolare, hanno sollevato aspre critiche: Amnesty International ha documentato casi in cui famiglie intere sono state sterminate sulla base di informazioni di intelligence errate.
L’occupazione statunitense ha anche contribuito a destabilizzare ulteriormente il paese. Le istituzioni afghane, fragili e corrotte, non sono riuscite a garantire sicurezza o servizi essenziali. La strategia di “nation-building” degli Stati Uniti, che mirava a creare una democrazia occidentale in Afghanistan, si è scontrata con le realtà culturali e sociali locali, portando a un fallimento generalizzato.
L’invasione dell’Iraq: armi di distruzione di massa e una guerra senza giustificazione
Nel marzo 2003, l’amministrazione Bush lanciò l’invasione dell’Iraq, basandosi sull’accusa che il regime di Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa (ADM) e avesse legami con al-Qaida. Tuttavia, entrambe le affermazioni si rivelarono false. Non furono mai trovate prove dell’esistenza di ADM, e i legami tra Saddam Hussein e al-Qaida furono smentiti da successive indagini.
Questa manipolazione delle informazioni di intelligence è stata al centro di dure critiche internazionali. Il rapporto Chilcot, pubblicato nel 2016 dal Regno Unito, ha concluso che l’invasione dell’Iraq fu basata su prove “incomplete” e “poco affidabili”. La comunità internazionale accusò gli Stati Uniti di aver orchestrato la guerra per ragioni geopolitiche, tra cui l’accesso alle riserve petrolifere irachene.
Crimini di guerra e abusi
L’occupazione dell’Iraq e dell’Afghanistan è stata segnata da numerosi episodi di violazioni dei diritti umani:
- Abusi nelle prigioni: Il caso più noto è quello della prigione di Abu Ghraib, dove prigionieri iracheni furono torturati e umiliati da militari statunitensi. Le immagini delle torture, rese pubbliche nel 2004, causarono indignazione globale e danneggiarono gravemente la reputazione degli Stati Uniti.
- Attacchi indiscriminati: In Iraq, l’uso di armi pesanti in aree densamente popolate, come a Fallujah, ha causato gravi perdite tra i civili. Secondo il progetto Iraqi Body Count, tra il 2003 e il 2017 sono stati uccisi oltre 200.000 civili.
- Danni ambientali e sanitari: L’uso di uranio impoverito e altre armi chimiche ha avuto conseguenze devastanti sulla salute della popolazione locale. In città come Fallujah, si è registrato un aumento di malformazioni congenite e casi di cancro, attribuiti all’uso di queste armi.
- Rendition e torture: Il programma di “extraordinary rendition” della CIA prevedeva il trasferimento di sospetti terroristi in paesi terzi, dove venivano sottoposti a torture. Amnesty International e Human Rights Watch hanno documentato decine di casi di detenzioni arbitrarie e trattamenti inumani.
Le conseguenze sui paesi occupati
Gli effetti delle guerre in Afghanistan e Iraq sono stati devastanti. In Afghanistan, il ritiro delle truppe statunitensi nel 2021 ha segnato il ritorno al potere dei talebani, annullando vent’anni di intervento militare. La popolazione afghana, già provata dalla guerra, si trova ora a fare i conti con una grave crisi umanitaria e con la repressione dei diritti fondamentali, in particolare per le donne.
In Iraq, l’invasione ha distrutto le infrastrutture statali e creato un vuoto di potere che ha favorito l’ascesa di gruppi estremisti come lo Stato Islamico (ISIS). Il paese rimane profondamente instabile, con tensioni settarie e una corruzione diffusa che ostacolano la ricostruzione.
L’impatto globale e il dibattito sull’egemonia statunitense
Le guerre post-11 settembre hanno ridimensionato il ruolo degli Stati Uniti come “gendarme mondiale”. Le accuse di crimini di guerra e le evidenti conseguenze negative delle invasioni hanno alimentato sentimenti anti-americani in molte parti del mondo e hanno eroso la fiducia nella leadership statunitense.
A livello interno, le guerre hanno avuto costi elevatissimi: secondo il Watson Institute, gli Stati Uniti hanno speso oltre 8 trilioni di dollari per le guerre in Afghanistan e Iraq, mentre circa 7.000 soldati americani hanno perso la vita. La “Guerra al Terrore” ha inoltre sollevato interrogativi sulla compatibilità tra la sicurezza nazionale e i diritti civili, con critiche all’uso eccessivo di sorveglianza e misure antiterrorismo.
La testimonianza di un ex marine
La sofferenza, le violenze e gli abusi perpetrati dagli americani durante la guerra in Iraq sono stati indicati come una delle cause principali dell’ascesa dello Stato Islamico. Questa visione, condivisa da ampi settori del mondo islamico, è stata riaffermata da Vincent Emanuele, un ex marine che ha prestato servizio in Iraq tra il 2003 e il 2005.
L’intervento militare, ufficialmente giustificato con la volontà di esportare la democrazia, sarebbe stato invece un mero pretesto, come riconosce lo stesso Chris Kyle, celebre cecchino delle forze armate statunitensi, nelle sue memorie: “Non ho messo a rischio la mia vita per portare la democrazia in Iraq. L’ho fatto per proteggere i miei compagni, i miei amici e la mia nazione. La mia presenza in guerra non riguardava gli iracheni: mi interessava difendere il mio paese, non il loro. Tutta quella merda doveva rimanere lontana dalle nostre coste. Degli iracheni non mi importava nulla.”
Come in ogni guerra, anche in Iraq sono stati commessi crimini, spesso con gravi ripercussioni sul piano umano e politico. Emanuele ha raccontato: “La distruzione e le sofferenze inflitte al popolo iracheno non potevano passare inosservate. Era inevitabile che ci sarebbe stata una reazione, una risposta violenta. Sapevamo che più a lungo fossimo rimasti, più avremmo ucciso e torturato, più forte sarebbe stato il ritorno di queste azioni sotto forma di conseguenze impreviste e terrorismo.”
Foto nel testo: 5 febbraio 2003, l’allora segretario di Stato Colin Powel mostra all’Onu una fiala, contenente (secondo lui) antrace «irachena» – Ap