(Francesco Gori) – Il presidente del parlamento del Libano, Nabih Berri, ha rinviato per la ventesima volta la sessione per l’elezione di un nuovo capo di Stato al prossimo 2 aprile. Come per le altre, la sessione di oggi è fallita per mancanza di quorum dovuta alla mancanza di un accordo su un candidato tra le fazioni rivali.
Circa 52 parlamentari della coalizione 14 Marzo erano presenti alla seduta, mentre membri del blocco Cambiamento e Riforma, di Hezbollah e del partito 8 Marzo, hanno continuato ad astenersi e a boicottare l’elezione in assenza di un previo accordo tra le parti. Il Libano è ormai senza un presidente sin dallo scorso 25 maggio, alla fine del mandato di Michel Sleiman, eletto nel 2008 come candidato di compromesso dopo un accordo di mediazione tra le diverse fazioni politiche libanesi, raggiunto pochi giorni prima della sua elezione a Doha, in Qatar.
Poco prima della sessione parlamentare, il presidente del parlamento libanese, Nabih Berri, aveva espresso grande pessimismo in merito all’elezione del nuovo capo dello Stato: “Credo che convocherò un’altra sessione il prossimo 1° aprile. E’ una vergogna che si sia giunti a 20 sessioni” e che “le speranze [di eleggere un presidente] sono state deluse”.
Qualcuno ha parlato di democrazia sospesa in Libano, anche dopo la decisione del Parlamento dello scorso novembre di rinviare ulteriormente le elezioni legislative fino al giugno del 2017, estendendo quindi il proprio mandato per un’intera legislatura quadriennale, dopo un primo rinvio nel giugno del 2013. Una decisione provocata dalle tensioni tra gli schieramenti politico-confessionali conseguenti in particolare al conflitto civile in Siria.
Il sistema politico libanese è caratterizzato dal confessionalismo, ossia un assetto istituzionale in cui l’appartenenza religiosa di ogni singolo cittadino diventa il principio ordinatore della rappresentanza politica e il cardine del sistema giuridico. In base a una convenzione costituzionale siglata informalmente come “Patto Nazionale” nel 1943, che integra o interpreta la costituzione del 23 maggio 1926, le più alte cariche dello Stato sono assegnate ai tre gruppi principali: 1) il Presidente della repubblica è maronita; 2) il primo ministro è sunnita; 3) il presidente del parlamento è sciita.
Secondo Ammar Houry, deputato di Mustaqbal, il Partito del Futuro, e capogruppo in parlamento del Blocco del 14 Marzo (data della Rivoluzione dei Cedri del 2005 che, dopo l’attentato in cui rimase ucciso l’ex premier Rafik Hariri, costrinse le truppe siriane a ritirarsi dal Libano), la mancata elezione del capo dello Stato in Libano “va rintracciata nella convergenza di interessi tra l’Iran, che sul tavolo delle trattative nucleari vuole giocare anche la carta del Libano e il Partito di Dio, Hezbollah, emanazione di Teheran in territorio libanese, impegnato, nel frattempo, insieme ai suoi alleati del Movimento Patriottico Libero di Michel Aoun, a evitare che sia garantito il quorum sufficiente alla Camera dei deputati per eleggere il Presidente della Repubblica”
“L’Iran, – denuncia Mustaqbal – nel negoziare con la comunità internazionale il suo programma atomico, ha messo in chiaro quattro punti importanti: 1)il Presidente libanese non sarà eletto fino a quando non vi metterete d’accordo con me; 2)io sono il fattore principale nello situazione in Iraq; 3) io sono determinante in Siria; 4) io sono determinante nello Yemen”.
Accuse che il partito di Dio respinge al mittente. Proprio Hezbollah è impegnato da mesi in una serie di incontri per trovare una soluzione che superi i veti incrociati che esistono proprio all’interno dei cristiano maroniti, divisi su posizioni pro e contro Assad. Nei giorni scorsi si sono riuniti i rappresentanti del Patriarcato maronita e del Partito sciita di Nasrallah. L’incontro si è svolto nella periferia sud di Beirut, e ha coinvolto il Vescovo Samir Mazloum e l’ex leader della Lega Maronita, Hareth Shehab, per la parte cristiana maronita, mentre Hezbollah era rappresetnato da Mahmoud al-Qmati e Mustafa al-Hajj Ali.
Durante i colloqui – riportano le fonti libanesi – sono stati analizzati gli effetti negativi che la mancata elezione del Presidente sta avendo su tutta l’attività istituzionale del Paese. Il Libano è formalmente senza Presidente dal 25 maggio 2014. Nel delicato sistema istituzionale libanese la carica di Capo dello Stato spetta a un cristiano maronita, ma i leader politici maroniti presenti nei due blocchi politici che dominano la vita politica del Paese – a cominciare da Michel Aoun e Samir Geagea – non trovano un accordo sul nome su cui far convergere i voti dei parlamentari”.
Fonti vicine al Patriarcato maronita confidano nella possibilità che la questione dell’elezione presidenziale libanese possa arrivare a soluzione per “effetto collaterale” dell’accordo sull’energia nucleare dell’Iran con il gruppo dei “5+1” (Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Usa+Germania).